
Dagli ori ai post-it tutto il mondo è visibile – La Domenica di Repubblica
È il più luminoso dei colori, anzi è il colore della luce. Perché la sorgente del giallo è il sole. Ed è questa associazione con la grande lampada del mondo a farne un simbolo universale. Forse il più comunicante dell’intero spettro cromatico. Al punto che il sommo Goethe nella sua fondamentale Teoria dei colori gli assegna la palma dello splendore e dell’intensità. Caratteri già scritti nella parola giallo che deriva da una radice indoeuropea che ha a che fare con qualcosa che si accende, che brilla. Nonché con l’energia vitale, con la vivacità, con lo sfavillio dell’intelligenza. E con la visibilità. Insomma con la solarità in tutti i sensi della parola.
Non a caso la natura e la cultura colorano di giallo tutto quello che deve saltare all’occhio. Dal polline che attrae irresistibilmente gli insetti, alle palle da tennis che sono diventate gialle da quando le racchette supertecniche le sparano alla velocità della luce. Dalla bandiera gialla che avverte di un pericolo ai post-it che sono diventati il promemoria globale e ultimamente anche il vessillo della libertà d’informazione. Dalle righe delle api che pare vogliano avvisarci di stare alla larga all’intramontabile impermeabile canarino che serve a non perdere di vista i bambini quando piove. In altre parole il giallo più che un colore è un evidenziatore. Di quello shining misterioso che ha la sua sostanza luminosa nell’oro. Tanto brillante da splendere di luce propria, il re dei metalli sembra fatto apposta per diventare l’emblema della perfezione, la materia prima dell’immortalità. E la ragione che spiega la credenza planetaria nella magia dell’oro sta tutta nella sua capacità di catturare la potenza del sole e di ridarle vita, di farla letteralmente rilucere. Il giallo radioso è da sempre il display del sacro, del potere, del fascino, della seduzione. Nell’antico Egitto il corpo dei faraoni era considerato della stessa carne immortale di cui è fatto il re degli astri e proprio per questo le mummie regali venivano rivestite di oro. La stessa associazione simbolica induceva i popoli mediterranei a colorare gli dei solari, Apollo e Mitra, di giallo scintillante. E gli antichi Cinesi a vestire gli imperatori dello stesso colore. Anche le tombe dei sovrani Incas, incarnazioni del dio sole Viracocha, venivano ricoperte di foglie dorate per sigillare l’essenza della sovranità in un simulacro incorruttibile. Anche le statue del Budda, l’illuminato per antonomasia, sono sfolgoranti d’oro. Come le icone bizantine e le aureole dei santi.
In realtà divini e potenti di ieri e di oggi possono consentirsi tutto ma non di passare inosservati. E non c’è nulla di meglio del giallo oro per abbagliare sudditi e devoti. E fan. Perché lo sberluccichio rutilante dello yellow submarine in cui viviamo è diventato una delle tinture madri dell’immaginario. Dagli orologi fosforescenti al look scintillante dei divi. Dall’acido inossidabile dei Simpson fino al paglierino malizioso di Titti. In un tempo che ha fatto della visibilità un imperativo sociale, una spruzzata di mellow yellow riesce a far risplendere anche il più stinto degli io.
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