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“Homo dieteticus” sul Corriere del Mezzogiorno

11 Febbraio 2015

Edizione napoletana del Corriere del Mezzogiorno, piacevole conversazione con Mariella Armiero.

Marino Niola è un antropologo del mondo contemporaneo. Pur provenendo da studi classici del settore e avendo studiato a lungo il barocco, il corpo, le anime purganti e altri argomenti della tradizione napoletana, è passato poi all’analisi dell’attualità attraverso la lente delle categorie antropologiche. Stavolta cade sotto la sua attenta osservazione l’«homo dieteticus», ovvero l’uomo che oggi ha sottoposto il proprio regime alimentare a una volontaria restrizione in nome del (presunto) benessere. Homo dieteticus si intitola il nuovo libro di Niola, edito dal Mulino, che sarà presentato domani alle 18 alla Feltrinelli di piazza dei Martiri. Interverranno Antonio Fiore e Patrizio Rispo. Ne parliamo con l’antropologo napoletano, che insegna al Suor Orsola Benincasa.
Crudisti, sushisti, vegetariani, vegani, gluten free, no carb: nel tuo libro elenchi una serie infinita di tribù del cibo.

Sono le nuove sette?
«Proprio così. Oggi la ricerca del modello alimentare virtuoso è diventata la religione globale con il maggior numero di proseliti. E come tutte le religioni nascenti produce continue contrapposizioni, scismi, eresie, sette, abiure. Ciascun credo si ritiene l’unica via per la salvezza, e verso l’immortalità. Non più dell’anima, ma del corpo. O almeno di quel suo succedaneo salutistico che chiamiamo longevità. Che anticipa il giorno del giudizio facendo del dietologo una sorta di dio giudice. O di Dio una sorta di dietologo improprio, che dispensa premi e castighi qui e ora. Così ci sottomettiamo a continue penitenze per obbedire al comandamento della magrezza. Che è un imperativo estetico, ma anche un’etica mascherata, un ascetismo secolarizzato che vede nel grasso un demonio da scacciare. E in un corpo non piallato un inestetismo da nascondere. Siamo davanti a un’inquisizione alimentare che formatta i corpi anziché disciplinare le anime. E usa la bilancia come testimone d’accusa. Siamo in pieno cortocircuito fra etica e dietetica».


Cosa c’è dietro la ricerca del biologico, del sano a tutti i costi, del cibo puro? Mito o reale necessità?
«È l’educazione alimentare che diventa esorcismo dietetico. Siamo alla ricerca di una naturalità, di una purezza da Eden biologico. Una via di mezzo fra ascetismo e agriturismo. I nostri sono i fioretti secolarizzati di una civiltà che considera la depurazione del corpo alla stregua di un drenaggio dell’anima. E fa cortocircuitare fibra alimentare e fibra morale. Col risultato di espellere dalla tavola la dimensione del piacere. Siamo tutti alla ricerca dell’alimento ideale, del cibo salvavita. Così ricorriamo alla prugna umeboshi come vade retro , alla curcuma come toccasana e al tè verde come elisir. Siamo sempre alla ricerca del regime salvifico. Finendo per trasformare il cibo in un’arma di quella crociata che il nostro corpo conduce contro se stesso e contro i cibi-nemici che attentano alla sua perfezione immunitaria. Col risultato di demonizzare tutti gli alimenti individuati come pericolosi, riducendo la dieta a pochissimi nutrienti, spesso con grave danno per la salute. È curioso, siamo una società che ha cancellato il demonio, ma non la demonizzazione. Insomma vogliamo l’esorcibo».


Come si concilia il nuovo homo dieteticus con l’uomo meridionale tradizionalmente dedito al cibo e alla sua ritualità?
«Il Sud fortunatamente è in buona parte immune da queste passioni-ossessioni. Da noi l’alimentazione non è ancora medicalizzata e il cibo non è ridotto a farmaco. Proprio perché la socialità passa ancora attraverso la tavola. E la convivialità è ancora un valore molto sentito. Così come lo è il piacere di mangiare. Niente a che vedere con l’asetticità di stampo anglosassone e di ascendenza protestante. Da noi lo sfizio non è un vizio».


Come uscire dall’ossessione della dieta?
«Tornando a fare quello che ci hanno insegnato i nostri genitori che per decidere cosa, come, quando e quanto mangiare non avevano bisogno di scaricarsi un’app o di ricorrere a un tutorial. Forse abbiamo bisogno di imparare a camminare con le nostre gambe e pensare con la nostra testa, bypassando quell’esercito di specialisti che fanno da interfaccia tra noi e il nostro corpo. E di fatto si interpongono tra noi e lui. Si installano come software normalizzatori nel nostro narcisismo scontento. E fanno business sul nostro desiderio di corrispondere a un format ideale, che non sempre è alla nostra portata».


La dieta mediterranea è un altro mito o una vera panacea?
«La dieta mediterranea non è un bluff. Viene dall’antica frugalità popolare e adesso le grandi agenzie internazionali, dalla Fao all’Unesco ne riconoscono il valore, la sostenibilità. Il che apre al Mezzogiorno d’Italia autostrade di economia, visto che i cibi simbolo di questa dieta sono quasi tutti Made in Sud».

Marino Niola
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