
Arrivato al caffè il mondo scoprì la democrazia – Mangiare i simboli/6
Su Repubblica di oggi il capitolo conclusivo della serie Mangiare i Simboli. Buona Lettura!
Un matematico è una macchina che converte caffè in teoremi. Lo diceva l’ungherese Paul Erdos, conosciuto come l’uomo che amava solo i numeri. A dire il vero il mago dell’insiemistica si riferiva soprattutto a se stesso. Ma in realtà il rapporto tra caffè e aritmetica è antichissimo e ha un’origine araba. Anzi arabica. Visto che un’antica leggenda islamica racconta che un giorno Maometto cade in uno stato di profonda astenia. Per guarirlo Allah gli invia l’arcangelo Gabriele con una bevanda nera, amara e bollente. Si chiama kawa — da cui il nostro caffè — un nome che avrebbe a che fare con la kaaba, l’oscura pietra santa della Mecca. Bastano pochi sorsi e il Profeta si risveglia dal suo torpore diventando instancabile e sagace. È l’inizio della fortuna della mitica tazzina, che in Oriente è considerata sacra, proprio perché rende saggi, lucidi e dinamici. Ed è proprio la capacità della caffeina di favorire il controllo della ragione sulle passioni a candidarla a simbolo di una cultura come quella islamica, che proibisce l’alcol, ed è madre e nutrice dell’al-giabr, cioè l’algebra. E le prime caffetterie di Costantinopoli vengono addirittura soprannominate scuole di sapienza, proprio perché il consumo di kawa viene considerato tipico dei pensatori, degli uomini di scienza, dei mercanti e dei giocatori di scacchi. Insomma gente che al calcolo dà del tu. La tazzulella fa il suo ingresso in Europa solo alla fine del Cinquecento. Suscitando un dibattito che divide la pubblica opinione tra sostenitori e detrattori. E all’inizio l’infuso corroborante viene considerato al massimo un medicinale. Perché per i palati europei, abituati alla dolcezza del vino, è difficile apprezzare questo liquido analcolico e per giunta amaro. Anche se le proprietà toniche ed energizzanti del caffè non tardano a imporsi. Soprattutto nel mondo protestante, dove il controllo di sé, la sobrietà e la produttività sono già dogmi indiscutibili. Si delinea così un’opposizione che taglia in due il Vecchio Continente. Da una parte il Nord riformato, caratterizzato dall’imperativo della velocità e dall’etica del lavoro, che trova il suo nuovo simbolo nel caffè. Dall’altra il Sud cattolico, con il suo andamento lento, che impazzisce per la oziosa cioccolata. Al dibattito partecipa anche Linneo, padre delle scienze naturali moderne, che coglie genialmente la ragione della imminente fortuna dell’espresso. Quando sostiene che il caffè è utile a coloro che preferiscono economizzare il tempo piuttosto che la salute. Individuando, di fatto, la sincronia storica tra il ritmo sempre più veloce della modernità nascente e le proprietà eccitanti del caffè. La cui produzione cresce vertiginosamente, grazie alla tratta degli schiavi africani che fornisce braccia alle piantagioni delle Americhe. Non senza il concorso di personaggi in grado di cogliere al volo le occasioni come Georg Kolschitzky, un avventuriero di origine polacca che nel 1683 contribuisce a liberare Vienna dall’assedio dei turchi di Kara Mustafà. E in cambio dei suoi preziosi servigi, chiede al conte Starhemberg, difensore della città, le cinquecento libbre di pregiatissimo caffè che gli assedianti hanno abbandonato sul campo. Kolschitzky, che ha imparato a preparare la bevanda nei suoi viaggi in Oriente, apre una bottega nella Dômgasse, col nome di Zur Blauen Flasche, dove serve il caffè con latte e miele. Nasce così il mélange, ancora oggi amatissimo dai viennesi, nonché antenato del cappuccino. Inoltre, per celebrare la vittoria lo scaltro George commissiona dei panini dolci a forma di mezzaluna ottomana. Praticamente dei cornetti ante litteram. Come dire «se semo magnati li turchi». È l’origine della colazione. Più tardi quando il nero infuso comincia a imporsi come bevanda di massa, il legame tra il suo gusto robusto e le astratte emozioni del business resta strettissimo. Nei caffè di tutta Europa ci si riunisce per degustare profumate miscele e insieme per concludere affari. Il più celebre è il Lloyd’s Coffee House di Londra. Aperto nel 1687 e diventato ben presto il cuore della City. Capitani, armatori, mercanti e cambiavalute affollano le sue fumose sale di legno scuro per essere costantemente informati sulle condizioni del mare, sul buon esito delle spedizioni, sull’andamento di profitti e perdite. L’intraprendente proprietario, Edward Lloyd, pubblica addirittura un notiziario aggiornato in tempo reale, il Lloyd’s News . Le cose gli vanno talmente bene che dalla caffetteria nascono i Lloyd’s, ovvero la più grande compagnia di assicurazioni del pianeta. Poco a poco i caffè diventano il simbolo di quello spirito d’impresa necessario all’economia borghese nascente. E, soprattutto, il luogo della democrazia e della mobilità sociale, fattori indispensabili alla modernizzazione di una società che per inseguire lo sviluppo ha bisogno di diventare sempre più leggera. Deve insomma liberarsi del peso del rango, dei privilegi, delle rendite parassitarie. Tant’è vero che il primo comandamento delle Rules and Orders of the Coffee House, un codice di comportamento emanato a Londra nel 1674, abolisce ogni differenza tra Pari d’Inghilterra e common people . E addirittura vieta espressamente di cedere il posto agli aristocratici. Così il motto di questa collettività liquida diventa «first come first served». Vale a dire che chi prima arriva meglio alloggia. Non a caso la rottamazione dell’Ancien Régime comincia tra i tavoli di Café parigini come Procope, dove la caffeina fa da propellente alle idee rivoluzionarie di filosofi come Voltaire. Che vanta le sue quaranta tazze al giorno consumate espressamente per pensare lucidamente a come combattere tiranni e imbecilli. Ma anche di Pietro Verri e Cesare Beccaria che fanno di una rivista come “Il Caffè” l’officina dell’illuminismo lombardo. È quel che nel nostro piccolo facciamo anche noi quando ci spariamo un doppio espresso per stare sul pezzo. In fondo con l’arabica inizia la civiltà multitasking, che coniuga tempo e denaro, efficienza e piacere. Purché sia buono. Perché se il caffè non è buono che piacere è?
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