
Quando il culto del corpo accorcia la vita – il Venerdì di Repubblica
“Quando il culto del corpo accorcia la vita”. Ne parlo oggi sul Venerdì di Repubblica nella mia rubrica Miti d’Oggi, buona lettura!
Aumentare i muscoli e abbreviarsi la vita. È quel che fanno i body builders per avere un fisico bestiale. Si sottopongono a sedute di allenamento costanti, stressanti ed estenuanti. Sollevano pesi impossibili, spingono carichi inamovibili, maneggiano attrezzi in grado di sviluppare parti del corpo che una persona comune nemmeno sa di avere. Insomma fanno della loro figura una scultura vivente, una illustrazione anatomica dal volto umano. Somigliano a quelle tavole dei libri di medicina che mostrano fasci di fibre, vene, arterie, in pratica i tiranti e le forze della fabbrica corporea.
Peccato che questo apparente trionfo della fisicità in realtà si risolva in un cupio dissolvi. In un programma di annientamento lento. Perché questi forzati della massa muscolare, che fanno della pelle un flatting sottile e luccicante, quasi trasparente, pagano molto caro quel morphing che trasforma i loro pettorali in corazze, gli addominali in scudi di tartaruga e i bicipiti in argani. Perché per ottenere quell’aspetto da mutaforme, oltre alla meccanica, ricorrono massicciamente alla chimica. Assumendo montagne di steroidi e fiumi di diuretici. Per gonfiarsi, drenarsi, anabolizzarsi.
Secondo una recente ricerca condotta negli Stati Uniti, l’aspettativa di vita di divi del body building come il trentaseienne Phil Health, non supera i cinquant’anni. In spaventosa controtendenza rispetto ai tassi di longevità occidentali che sono tra i settanta e gli ottanta. Insomma un quarto di esistenza sacrificato per aderire a un format che fa dell’uomo una copia scolorita dell’incredibile Hulk.
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