
I baby pusher – il Venerdì di Repubblica
Bambine e bambini addestrati a confezionare dosi di stupefacenti e spediti a consegnare la merce dai loro genitori che gestivano il traffico. È successo nei giorni scorsi a Napoli, al Pallonetto di Santa Lucia, un’enclave popolare a due passi da piazza Plebiscito, il salotto buono della città.
È un fatto che non può non indignarci ma che purtroppo non stupisce perché non è cosa nuova. È almeno dai primi anni Ottanta che la criminalità usa e abusa dei ragazzini. Una volta li chiamavano muschilli, cioè moscerini, e li impiegavano anche allora come baby pusher e corrieri della droga perché non sono imputabili. Purtroppo quest’orrore è solo la punta di un iceberg fatto di violenza metabolizzata, di illegalità diffusa, di familismo amorale, di lavoro minorile, di evasione scolastica, di colonizzazione dell’immaginario, di sottocultura civile. Ed è l’aspetto locale di un fenomeno globale.
Cioè l’uso e l’abuso che il neocapitalismo da una parte e il terrorismo dall’altra fanno del corpo dei bambini. Trasformati in operai, in schiavi, in kamikaze. Prostituiti. Derubati in ogni caso della loro infanzia. Ridotti a nuda vita.
E allora in un mondo dove dei ragazzini che hanno la stessa età dei nostri possono lavorare quindici ore al giorno, compiere attentati omicidi, mettere sul mercato la loro innocenza, non c’è da meravigliarsi che vengano usati anche per spacciare a domicilio.
O, fatto ancor più agghiacciante, che una madre metta una creatura di otto anni a preparare bustine di cocaina. Genitori snaturati e figli disgraziati.
Che sono l’altra faccia del benessere, l’impresentabile algoritmo del consumismo. Il cuore di tenebra dello sviluppo.
Discussion about this post