
Le asettiche parole non bastano più – il Caffè
Il linguaggio prima di significare qualcosa, significa per qualcuno, diceva…
Tre milioni di multa a WhatsApp per avere forzato gli utenti a condividere i propri dati su Facebook. Ad adottare il provvedimento è stata nei giorni scorsi l’Agcm, l’autorità italiana garante per la concorrenza e il mercato, che l’ha considerata una pratica commerciale scorretta.
Anche perché il consenso è stato praticamente estorto, con la minaccia di esclusione dall’uso dell’applicazione. A far gola al social di Mark Zuckerberg è di fatto lo sconfinato bacino di informazioni su di noi e sui nostri caratteri, gusti, interessi, inclinazioni, passioni, interazioni, sfizi, da utilizzare per scopi pubblicitari e commerciali.
Essere spiati dalla rete non è certo una novità, ma la pratica sta assumendo dimensioni preoccupanti che mettono in discussione le nostre libertà e i nostri diritti. Perché ormai il traffico dei dati ha assunto le dimensioni di una vera e propria tratta dei profili.
Questa volta a essere venduti non sono individui in carne e ossa, come al tempo della tratta degli schiavi, ma individui virtuali. Nella società di internet, all’antica concezione della persona fisica come sintesi di corpo e mente, si è sostituita, a tutti gli effetti, quella di persona digitale. Che è una sintesi di corpo e anima, una sorta di doppio immateriale, ma anche un report completo della nostra vita, per di più senza veli. In questo modo a essere vendute non sono le nostre braccia, ma il nostro potere d’acquisto e le nostre preferenze, intenzioni, propensioni. Insomma il nostro io profilato. Così veniamo ceduti, scambiati, esportati. Con il nostro consenso disinformato.
Il linguaggio prima di significare qualcosa, significa per qualcuno, diceva…
Strade vuote e case piene. Il coronavirus cambia le nostre…
Se non altro non li manifestiamo perché, almeno un po’,…
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