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Mille casette piccoline – la Repubblica

16 Luglio 2017

La casa, diceva Borges, è un candelabro dove le vite ardono nell’ombra. In quest’ombra è nascosto il mistero dell’abitare. Quello che i bambini cercano di svelare a se stessi disegnando compulsivamente casette a forma di faccia. Come dire che la casa è la maschera dell’essere, la sintesi dei suoi lati domesticamente familiari, ma anche di quelli impenetrabilmente oscuri.
È quel che affiora dalla bella mostra “Per piccina che tu sia. Memorie e inquietudini dell’abitare” — curata dall’antropologo Vincenzo Padiglione e da Maria Camilla De Palma, direttrice del Museo Castello D’Albertis di Genova — che raccoglie le mille casette della collezione Fabrizio Ago e le sparpaglia attraverso logge, sale e saloni del maniero genovese facendole dialogare con le opere fotografiche di Mohamed Keita (fino al 12 novembre). Di solito si pensa che basti rimpicciolire gli oggetti per farne dei giocattoli innocenti. Invece a guardare bene le miniature in mostra, prive di contesto, collocate fuori asse, sempre in bilico, precarie, schiacciate da nuvole incombenti, l’inquietudine schizza da ogni parte in nano-dosi minacciose E quando queste casette hanno porte e finestre serrate, diventano ancor più perturbanti. Perché sembra che nascondano un inquilino misterioso. Un genius loci che intima di non aprire quella porta. In fondo, come suggerisce la mostra, queste dimore in bilico, fuori sesto, destabilizzanti, periclitanti, sono l’essenza stessa dell’abitare umano che è sempre una quadratura dell’avere e dell’essere. Una ricerca di equilibri precari e pericolanti. Che evocano le peripezie, le trasformazioni, le delocalizzazioni, i terremoti reali e finanziari, i mutui subprime, le migrazioni e le gentrificazioni che fanno del cittadino globale un inquilino a rischio di sfratto. Un homeless in cerca di una dimensione che lo faccia sentire a casa.

Marino Niola
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