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Solfatara, quella porta sull’abisso che incantò Goethe – la Repubblica Napoli

13 Settembre 2017

La terra ribollente li ha inghiottiti, come un’antica divinità degli abissi. Crudele e indifferente agli affetti umani. Così la gita di una famiglia alla Solfatara di Pozzuoli si è trasformata in una tragedia. Il candore abbagliante di questa natura sulfurea, che inganna i sensi e colpisce a tradimento, si è chiuso sulle vittime come un sudario.
In realtà questo scenario di fuoco e di acque bollenti, di vapori iridescenti e di esalazioni puteolenti, dove il suolo ballerino si rivolta, sbuffa, gorgoglia, freme, fischia e geme, è considerato da sempre il vestibolo dell’Ade, la porta che si apre sulla nebbiosa dimora dei morti. Plinio il Vecchio, il più grande naturalista dell’antichità, affascinato e turbato dai sussulti di questa terra spasmodica diceva che il suo soffio era un mortiferum spiritum, un alito di morte. E i Romani pensavano che le quaranta bocche vulcaniche dei Campi Flegrei fossero l’antro di Caronte, il barcaiolo infernale che traghetta le anime nell’aldilà. Non a caso Virgilio colloca la celeberrima discesa agli inferi di Enea proprio in questo francobollo d’Italia che sta fra Cuma e Pozzuoli, tra l’antro della Sibilla e il lago d’Averno.
Perfino Annibale, capo dei Cartaginesi, sarebbe venuto da queste parti per fare sacrifici a Plutone ed Ecate, i signori delle profondità.
Ma non erano solo gli antichi ad essere colpiti dalla potenza tellurica della Solfatara. In effetti la forza di questa natura straripante non ha mai smesso di alimentare fantasie, teorie, mitologie. Narrazioni diverse ma la location resta sempre la stessa. Nel Medioevo gli inferi dei pagani diventano il purgatorio dei cristiani. Si raccontava che in questi luoghi di fumarole, saune, stufe e sudatori, Cristo fosse disceso per liberare le anime che avevano finito di scontare la loro pena. Ne era più che certo il celebre medico della Scuola salernitana Pietro da Eboli, studioso di terapie termali. «Esiste un luogo nel Sud dell’Italia, dove Cristo scardinò le porte dell’Averno, si prese i morti e li portò tra i suoi». Ci sono anche delle splendide incisioni dell’epoca che raffigurano Gesù immerso nelle acque. Le porte abbattute galleggiano davanti a lui, mentre una schiera di fedeli immersi fino al collo in una vasca termale suda e in questo modo si purifica dei suoi peccati. Come se fossero tossine dell’anima.
Galileo Galilei, padre del metodo scientifico moderno, nel 1588, in una lezione all’Accademia fiorentina mescola scienza e fantascienza e arriva ad affermare che secondo i suoi calcoli la bocca dell’inferno si trova esattamente lì, e che la selva oscura di Dante è proprio il bosco che circonda il lago d’Averno.
«Sotto il cielo più puro, il terreno più infido». Lo diceva Goethe, padre del Viaggio in Italia e involontario colpevole dell’odierno turismo di massa. L’autore del Faust volle visitare la Solfatara e ne fu talmente impressionato da farne il luogo simbolo del mistero della vita e della morte. Perché proprio di questo si tratta. Quella soglia invisibile, la deadline che poeti e filosofi cercano invano di dire a parole, qui si tocca con mano. Diventa un’esperienza empirica sotto gli occhi di tutti. Dove madrenatura si mostra per quello che è. Potente e soverchiante. O, per dirla con Leopardi, bella e terribile.

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Marino Niola
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