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Quando il cibo era scarso e sacro il bio non era un dio – il Venerdì di Repubblica

3 Novembre 2017

L’insostenibile leggerezza del benessere ha trasformato il cibo in una merce. Gli ha tolto quella sacralità che una volta era legata alla scarsità. Nella società dell’abbondanza quel che per i nostri nonni era una benedizione oggi ha perso ogni valore che non sia dietetico o edonistico o salutistico. Forse anche per questo sprechiamo alimenti con tanta superficialità.

Secondo una recentissima stima del Wwf, ogni anno un terzo delle derrate prodotte nel mondo finisce nella pattumiera. Con quel che gettiamo via potremmo tranquillamente sfamare quegli ottocento e passa milioni di persone che non arrivano a mettere insieme un pasto. E potremmo persino far fronte all’incremento demografico che incombe sul futuro del Pianeta. Delle ragioni di questa mutazione antropologica si è parlato nei giorni scorsi a Noto, nel corso dell’interessantissimo convegno Il sacro pasto. Le tavole degli uomini e degli dèi, organizzato dall’antropologo Ignazio Buttitta e dalla Soprintendenza ai Beni culturali di Siracusa. Le civiltà che ci hanno preceduti sacralizzavano gli elementi della sussistenza. Pane, grano, vino, olio, carne. Per non dire di nostra sora acqua di francescana memoria. Era, di fatto, una certificazione religiosa. Una denominazione di origine consacrata. Noi, che della tracciabilità abbiamo fatto un articolo di fede, abbiamo invece svuotato il cibo di ogni significato simbolico, trascendente, collettivo. Forse anche per questo diventiamo sempre meno solidali.
E facciamo sempre più fatica a costruire comunione e comunità. Il risultato è che abbiamo sostituito l’etica con la dietetica e il dio con il bio.

Marino Niola
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