
I mille volti del Mediterraneo matrice meticcia della nostra civiltà – la Repubblica
Avevano ragione gli antichi a dire che il Mediterraneo è uno e molteplice. Sempre lo stesso ma sempre diverso. E le immagini di Nick Hannes ce ne danno la prova. Perché i suoi scatti fotografano la continuità di questo cosmo impassibile e tumultuoso affacciato sul mare. Fanno affiorare la storia nascosta sotto la superficie del presente. Mostrano quelle che un poeta come Charles Baudelaire definiva corrispondenze segrete tra tempi e luoghi. I mille volti di quell’unità originaria che i secoli hanno frammentato ma non cancellato. Il Mediterraneo è il tratto comune dell’umano. Che mette tra parentesi differenze e divisioni sociali, politiche, economiche, religiose. I sogni e i bisogni delle genti migranti. I timori e i tremori dei popoli accoglienti. O respingenti, come avviene sempre più spesso in questo tempo in cui lo straniero appare più nemico che ospite. Eppure, a dispetto di una contrapposizione tra le due sponde che, vista con gli occhi smarriti di adesso, sembra insanabile, il mare nostrum resta la matrice primigenia della civiltà umana. Una grande madre. Qualche volta una dura madre che discrimina figli e figliastri. E che rende ciascuno straniero a se stesso.
«Mediterranean. The continuity of man», il titolo della mostra di Nick Hannes, visibile al Photolux Festival — la biennale di fotografia che si tiene a Lucca dal 18 novembre al 10 dicembre — richiama programmaticamente le forme di una koinè, di un minimo comun denominatore di mediterraneità, che sta sotto i mille incontri e scontri che hanno fatto di questo fatale bacino un incrocio di odissee. Dalle antiche rotte commerciali che seguivano la scia di Ulisse. Alle peregrinazioni, invasioni, spedizioni, colonizzazioni, migrazioni di ieri e di oggi. Fino alle ondate turistiche e crocieristiche che si abbattono sulle coste con la violenza di uno tsunami. Di una incursione barbaresca in salsa neocapitalista che sfigura città e borghi.
Il risultato è un think thank diffuso, policentrico, transculturale, meticcio. Che ha inventato filosofie, economie, gastronomie e mitologie. Politeismi e monoteismi. Sistemi di valori che si sono stratificati, arrampicati l’uno sull’altro. O si sono costruiti l’uno contro l’altro. Ma sempre spiandosi, studiandosi, imitandosi. Mescolandosi al di là delle intenzioni. Basta guardare la forma delle imbarcazioni che solcano ancora le acque da Napoli a Beirut, da Gibraltar a Cipro, da Algeri a Montecarlo, dal Cairo a Ibiza, da Pola a Istanbul. O i modi di divertirsi e di far festa. O le modalità del contatto tra i corpi.
Quelli che si vengono incontro, come venditori e bagnanti che trattano il prezzo di una merce su una spiaggia. O che si guardano a distanza siderale, da separati in casa, come le donne velate di Tangeri e le nudiste di Saint- Tropez.
In realtà oggi vediamo soprattutto quello che separa le due rive e fa del Mediterraneo un mare in guerra con se stesso. Ma gli scatti di questo fotografo di Anversa ci chiamano a sintonizzarci sulle lunghe durate della storia. E a bypassare le sequenze convulse della cronaca. Se riusciamo ad abbandonarci al suo richiamo saremo ricompensati. Vedendo apparire per incanto un mondo che ci sembra ormai estraneo. E che invece ci è oscuramente familiare. Ci riguarda in quanto portatori inconsapevoli di una storia nostra e non più nostra. Come valvole di uno stesso organismo da rimettere in equilibrio. Nell’interesse di tutti. Perché il Mediterraneo è un sistema circolatorio che passa anche per il nostro cuore.
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