
È soltanto paura: addio alle leggende sull’omertà – il Venerdì di Repubblica
L’omertà non è una cultura. È solo paura. A dirlo è un libro curato dalla criminologa Simona Melorio, ricercatrice presso il centro studi ReS Incorrupta dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, insieme a Isaia Sales, noto studioso della malavita organizzata (Omertà: silenzio, paura ma non condivisione, Guida Editori, pp. 154, 12 euro). Il volume è frutto di un’indagine sul campo condotta da un gruppo di studenti e docenti di scienze giuridiche e sociali, su un campione rappresentativo della popolazione partenopea. A sorpresa, i risultati sfatano il luogo comune secondo cui il silenzio che copre le attività delle organizzazioni malavitose nascerebbe da un radicamento dei valori criminali nell’antropologia del Mezzogiorno. In quella zona grigia che non sta né con lo Stato né con la camorra.
Una tesi molto diffusa che fa dell’omertà una seconda natura, il segno di un’atavica lontananza dallo Stato, avvertito come estraneo e nemico. Si tratta di uno stereotipo antico quanto falso, che finisce per colpevolizzare le vittime dei soprusi di mafiosi e camorristi trasformandoli in complici dei loro aguzzini. Che invece, come emerge dall’indagine, impongono il silenzio con le armi. E alimentando la paura della gente, ottimizzano l’immagine dell’efficienza economico-militare dei clan, ma anche della loro impunità.
È uno storytelling gomorrista al servizio di una strategia di comunicazione che, a giudicare dagli effetti nefasti, è più efficace di quella della legalità e dei suoi rappresentanti.
Insomma chi non parla non lo fa perché si sente vicino alla criminalità ma perché sente lo Stato lontano da sé.
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