
Se le armi diventano una scorciatoia della nostra ragione – il Caffè
Le armi sono come i soldi. Nessuno ne ha mai abbastanza. Lo dice lo scrittore olandese Martin Amis. E deve pensarla così anche il diciannovenne di Bellinzona arrestato perché fortemente sospettato di aver pianificato una strage. Nella sua casa sono state trovate venti armi da fuoco. Un vero arsenale. Con il quale stava costruendo il suo profilo identitario. E per l’appunto sul suo profilo instagram aveva postato qualche giorno fa una foto che la dice lunga sulla sua personalità. Abito total black da guardia del corpo e fucile AK-47 in spalla. Uno strumento di morte che gli esperti definiscono a fuoco selettivo. E selettiva era anche la strage che, secondo la polizia, il giovane intendeva compiere. Il suo piano prevedeva uccisioni mirate e sarebbe scattato martedì 15 maggio in occasione degli esami. La prova più temuta dagli studenti. Per non arrivarci impreparato il ragazzo avrebbe acquistato 150 colpi. Meditava di sparare ai docenti e ai compagni durante gli esami? O progettava di far fuoco sugli esami stessi? Per scaricare il caricatore del suo mal di vivere sul simbolo-scuola, sull’istituzione che rappresenta l’autorità, la regola, l’ostacolo alla volontà di potenza. Qualcuno dirà che si tratta di un tipo difficile, di un soggetto inquietante. Se non addirittura affetto da disturbi psichici. Alcuni dei compagni lo dipingono come una persona strana, con una ostentata passione per le armi che faceva loro paura. Ma al di là della spiegazione psicologicaindividuale, a far davvero paura è la filosofia che sta dietro le passioni e le ossessioni di questo friend fighter della porta accanto.
Prima di tutto i suoi tweet deliranti a favore del secondo emendamento della costituzione americana, quello che garantisce il diritto a possedere armi. Eccone un esempio. “Quando tutte le armi saranno proibite – Quando tutte le parole saranno censurate – Quando tutta la storia sarà cancellata – Quando ci sarà tolta la libertà – Solo allora scoprirai perché il diritto di possedere armi era così importante”. Messaggi in cui la retorica dell’autodifesa si mescola ad una sfrenata ipertrofia dell’io. Con un neoliberismo dell’anima che induce a vedere nell’altro un nemico potenziale, un concorrente da eliminare. Lo stesso che affiora in altri suoi ritweet che attribuiscono l’olocausto al fatto che gli Ebrei abbiano rinunciato ad armarsi contro Hitler. Un pensiero da cui affiora una paradossale colpevolizzazione delle vittime. Insieme ad un’esaltazione della capacità di reazione misurata in potenza di fuoco.
Un’idea quasi digitale che riduce la complessità della realtà ad una semplificazione binaria. Se non vuoi soccombere, attacca. Se non vuoi essere ucciso, uccidi. Così l’AK-47 diventa una scorciatoia della ragione. E dà l’illusione che sia possibile sciogliere il groviglio inestricabile dei problemi sparando un solo colpo. È quel che si dice sostituire le armi della critica con la critica delle armi. Una logica prevaricatrice, violenta, che suggerisce rimedi molto peggiori del male che dice di voler combattere.
Insomma, quel che affiora dalla vicenda e la rende ancor più inquietante è una inversione dei circuiti elettrici dell’etica, che oggi è alla base del populismo dilagante e del suo preoccupante magnetismo politico. Uno stato fusionale e confusionale che non può che provocare cortocircuiti continui. Finché il soggetto non fonde definitivamente. E di questo dilagante sovraccarico di tensione, i brothers in arms come il ragazzo di Bellinzona sono solo la punta dell’iceberg.
“L’angoscia del padre: “Non me l’aspettavo”” [Download PDF]
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