
Grand Tour d’Italia: nuove mete le cattedrali alimentari – il Venerdì di Repubblica
Oggi il riconoscimento Unesco dell’arte dei pizzaioli napoletani compie un anno. E dal 7 dicembre scorso sono già cambiate molte cose. Non solo per Napoli, ma per l’intero Paese, perché l’inclusione di questo mito alimentare contemporaneo tra i patrimoni dell’umanità sta avendo una spettacolare ricaduta sull’intero Made in Italy, gastronomico e non solo.
In realtà, esattamente come era successo negli anni Ottanta per la nostra moda, anche il nostro cibo sta diventando un brand planetario. Uno straordinario biglietto da visita dell’artigianalità e della creatività che appartengono al genoma culturale ed economico del Belpaese. È questo il plus dei prodotti a marchio italiano. Non sono mai semplici merci, ma il risultato di un’onda lunga della storia. Che affonda le sue radici nei Comuni e nelle Signorie, nelle botteghe rinascimentali, nel dinamismo delle repubbliche marinare, nell’orientalismo dei mercanti e degli artigiani, negli umori greci, arabi, normanni e spagnoli del Mezzogiorno, nell’energia trasformatrice dei Longobardi del Nord, nel raffinato estetismo dei Bizantini.
È questo mormorio del passato il valore aggiunto degli oggetti fatti all’italiana. E la pizza è proprio un esempio di questa imprenditoria nata dal basso, che trasforma l’indigenza in eccellenza.
E, come scrive Rosanna Romano in Campania. Places, flavours, excellences, un bel volume edito dalla Regione Campania per festeggiare l’anniversario, fa delle nostre cattedrali alimentari le pietre miliari di un nuovo Grand Tour, questa volta gastronomico. Che elegge l’Italia a capitale del gusto e del buon gusto.
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