
Tutto cambia ma il pane resta sacro – il Venerdì di Repubblica
A quelli che hanno fame dio appare in forma di pane, diceva Gandhi.
Ricordandoci che questo cibo primordiale ed elementare è l’emblema stesso dell’alimentazione. È per questo che conserva un’aura sacra perfino nella società dei consumi e dello spreco generalizzato, dove buttare il pane viene ancora considerato un gesto irriverente verso la vita e l’ambiente.
Ce lo ricorda lo spettacolo Pupe di pane con la regia di Tonio De Nitto, andato in scena nei giorni scorsi a Lecce nella sede dell’Accademia mediterranea dell’Attore, nell’ambito di un progetto coordinato dal suo direttore Franco Ungaro con la collaborazione della Casa delle Agriculture di Castiglione d’Otranto.
Cinque bravissime attrici dell’Accademia, Angelica Dipace, Benedetta Pati, Giulia Piccinni, Antonella Sabetta e Carmen Ines Tarantino, vestite come sacerdotesse della Terra, hanno messo in scena il rito della panificazione. Quella trasformazione miracolosa della farina in vita da cui sono nate tutte le religioni del Mediterraneo. Impasto, lievitazione, cottura, condivisione e cooperazione diventano gli atti sacramentali di un teatro del pane che tiene insieme in 26 minuti duemila anni di storia. Dalla fame della civiltà contadina, alle tessere annonarie della guerra, dalle lotte sindacali alle bambole di pane della Settimana Santa, che erano cibo, talismano e giocattolo per una società di pura sussistenza, in cui il pane era il simbolo della comunità e della comunione.
Un poetico intreccio di mitologia e quotidianità che, nell’anno in cui una città del pane come Matera è capitale europea della cultura, dovrebbe essere visto da tutti gli italiani. Come antidoto contro l’individualismo che oggi riflette nei nostri pani monoporzione il cono d’ombra della collettività.
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