
L’odio per i grassi comincia dai manichini – il Venerdì di Repubblica
Adesso l’obesofobia se la prende anche con i manichini. Lo dimostra la reazione all’ultima campagna della Nike, che si rivolge alle donne curvy. Le vetrine del Nike Town londinese di Oxford Street hanno esposto manichini plus-size. Lo avevano già fatto alcuni noti marchi globali, con negozi in tutto il mondo, ma è la prima volta per uno store specializzato in abbigliamento sportivo. Ai più l’iniziativa è piaciuta, perché è stata letta come un passo avanti verso l’inclusione e l’accettazione della diversità. Ma non sono mancate le critiche, anche feroci, anche crudeli. Come quella della giornalista Tanya Gold che sul Telegraph ha scritto un articolo al vetriolo, sostenendo che i manichini obesi vendono alle donne una pericolosa bugia. La sua tesi, a dir poco radicale, è che una donna con la ciccia di quei manichini, in realtà non possa fare nessuno sport. Vista la sua taglia è destinata piuttosto ad ammalarsi di diabete. E non basta. Probabilmente dovrà sottoporsi presto o tardi alla sostituzione dell’anca, usurata dal peso.
Il quadro apocalittico delineato da Gold è un bell’esempio di quel che nel mondo anglosassone si chiama fat-shaming, ovvero orrore del grasso. Una sorta di colpevolizzazione del sovrappeso che è parente stretta del disgusto e figlia primogenita della discriminazione. Che ha acceso la rete come una santabarbara piovuta sulla giornalista. Cui viene rimproverato di considerare l’oversize sinonimo di malattia se non addirittura una colpa di cui vergognarsi. In effetti dietro l’apparente difesa delle donne ingannate dal marchio, si cela un furore immunitario che vede nel grasso un peccato da emendare e nel peso eccessivo uno stigma invalidante, una segnatura infamante. È una forma di integralismo salutista che finisce per confinare con il razzismo.
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