
La società è liquida ma senza le app non beviamo più – il Venerdì di Repubblica
Mentre tutti noi ci preoccupiamo della disidratazione della cancelliera tedesca Angela Merkel e dei suoi tremori, che i medici imputano a insufficiente assunzione d’acqua, c’è chi si preoccupa della disidratazione di noi tutti. Sono le applicazioni, che ormai hanno assunto il ruolo di tutori digitali dei cittadini globali che evidentemente hanno disimparato a bere. E allora basta scaricarsi una delle tante water app che, dopo aver raccolto una serie di informazioni su statura, genere, età, peso, parametrano il nostro fabbisogno idrico. E da quel momento cominciano a monitorarci. Avvertendoci a intervalli fissi che è il momento di aver sete, con degli splash fragorosi che ci fanno sobbalzare ogni volta. Anche perché nel frattempo ci siamo dimenticati sia di assumere la debita quantità di H2O, sia di aver programmato l’alert. Così l’angelo custode si trasforma in uno stalker che ci ricorda ossessivamente quel che una volta qualunque persona di media intelligenza sapeva benissimo.
Mentre adesso senza campanelli, fischi, bip, cinguettii, barriti, riff, jingle rischiamo di non essere in grado di sopravvivere.
C’è addirittura chi, sentendosi in colpa per non aver ingollato i due litri d’ordinanza, mente al controllore elettronico come se fosse una coscienza in remoto.
Se andiamo avanti così, presto sarà necessario installare un’applicazione che ci ricordi di pensare, possibilmente con la nostra testa, ammesso che nel frattempo non sia stata messa fuori uso da questa sorta di obsolescenza programmata che ci rende sempre più dipendenti dai nostri Super Io elettronici. Col risultato che ciascuno è connesso con il suo tutor virtuale e sconnesso da sé stesso.
Al punto che se si scarica la batteria del cellulare e salta l’avviso, rischiamo di restare a secco come tanti cactus. Alla faccia della società liquida.
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