
Respiriani & Co. Le tribù del cibo diventano sette – il Venerdì di Repubblica
Una volta il cibo serviva a costruire identità, oggi serve a produrre differenze. A distinguersi dagli altri rifiutando quel che mangiano. E al tempo stesso a farci sentire appartenenti a una minoranza di eletti in possesso della verità alimentare. Ne ho avuto l’ennesima conferma in questi giorni scorrendo il menù di un ristorante di mare che frequento da anni. Somigliava a un foglio di battaglia navale, tempestato di asterischi, crocette e pallini relativi ad allergeni vari, glutine, carboidrati, lattosio, farine raffinate, olio di palma. Un numero esagerato di variabili, opzioni ed eccezioni previste per non violare i tabù e i decaloghi mangerecci delle tribù alimentari in cui ci siamo divisi.
È fuori discussione che ciascuno ha il diritto di mangiare come vuole, cosa vuole e con chi vuole. Ma resta il fatto che questa tendenza verso l’apartheid alimentare, questa diminuzione dello scambio e della convivialità, quest’aumento di idiosincrasie, fobie e manie sono la spia di un egocentrismo dietetico che è, a sua volta, il riflesso di un individualismo sempre più estremisticamente asserragliato nei propri usi e consumi, rinchiuso nella cittadella corporativa del gusto e del disgusto.
Se all’inizio a fronteggiarsi erano vegani-vegetariani, carnivori e pochi altri, adesso ciascuna tribù si segmenta al suo interno proprio come le antiche sètte ereticali, in cui si passava improvvisamente dalla fratellanza all’intolleranza. Dalla comunione alla separazione. Dalla cucina gay a quella Queer – che, al di là di ogni divisione di genere, punta sullo strano e diverso – dalla dieta baby – che prevede solo omogeneizzati – fino alla respiriana, per chi aspira a vivere d’aria, come gli eremiti, e alla dieta del sonno, che fa dormire a botta di sonniferi per non essere indotti in tentazione dal cibo.
Che non sembrano nemmeno modi di mangiare ma exit strategy dalla vita.
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