
L’indimenticabile colonna sonora del miracolo economico e delle passioni da villeggiatura – la Repubblica
Fred è stato il cantante simbolo di un Paese in amore. Prima di tutto con sé stesso. Il suo stile confidenziale, da crooner, da Sinatra “de noantri”, era lo specchio di un’Italia che cercava luoghi e pretesti per innamorarsi, anche per una sola estate. Perché quelle fiammate d’agosto, quelle passioni light, quelle “cotte” desinate a svanire con l’autunno, erano il lusso di un popolo che per la prima volta poteva concedersi una spensieratezza gentile, il privilegio di un romanticismo adolescenziale. Allora le vacanze si chiamavano ancora villeggiatura ed avevano un andamento lento, una stagionalità immutabile. Un eterno ritorno.
Stesso lido, stesso ristorante, stesso ombrellone. E il tempio di questa umanità felicemente transumante era la rotonda sul mare, un teatro di corpi in movimento e di anime in fermento, dove tra un lento allacciato e un veloce staccato, si consumavano illusioni e delusioni, infatuazioni e trasgressioni.
Non erano solo fantasie, ma realtà concrete. Le forme architettoniche che il benessere aveva dato ai nostri sogni. La celebre rotonda di Senigallia, che ha ispirato il maggior successo di Fred Bongusto, esisteva eccome. E ancora esiste e resiste. Come un’allegoria del tempo andato, come un’archeologia dell’eros e del pathos di uno Stivale che ormai appare lontano anni luce. Altro che cinquant’anni. È una distanza giurassica quella che ci separa dal popolo riflesso nel sussurro del cantante confidenziale. Un popolo nazional popolare nel gusto e nel bon gusto, che mangiava ancora spaghetti pollo insalatina in un sol pasto. Niente diete né vite dissociate.
La tavola era la stessa per tutti, proprio come la TV. Che aveva un solo canale, dove ancora non si poteva dire pane al pane e culo al culo. In realtà il mezzo tono di Fred era il riflesso di un’Italia che del mezzo tono, del leggermente fumé, del centrismo egocentrico aveva fatto la sua cifra, dalla politica ai sentimenti, dall’etica all’estetica.
Se la musica è la voce di un’epoca, è il suo soffio vitale, le canzoni di Bongusto sono state la colonna sonora del miracolo economico, il sentimental mood di quella mutazione antropologica di cui Pasolini vedeva il bicchiere mezzo vuoto. Infatti, a dispetto dei Beatles, degli Stones, dell’onda sessantottina incipiente, l’autore di “Amore fermati”, ha continuato a rappresentare un intermezzo felice ma breve, un’età dell’oro buona più per essere ricordata che vissuta. E rimane nell’immaginario italico come il nume ispiratore di una nazione di amatori.
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