
Il Natale a estensione variabile – il Venerdì di Repubblica
Quando a santificare le feste è il mercato, allora Natale viene anabolizzato. Diventa extralarge e cannibalizza le altre ricorrenze. Una volta la celebrazione della Natività cominciava l’otto dicembre, giorno dell’Immacolata, quando si faceva l’albero. Adesso invece il White Christmas parte in tromba ai primi di novembre. Appena bypassato Halloween. Che peraltro ha occupato manu militari la casella di Ognissanti, in origine legata alla commemorazione dei defunti. A loro volta esodati da fantasmi e zombies in cerca di dolcetti e scherzetti. Neanche il tempo di archiviare la notte delle streghe che Babbo Natale ha già preso servizio. E l’atmosfera cambia di botto.
La malinconia novembrina, memoriosa e un po’ desolata, viene rischiarata a giorno dalle luminarie che trasformano le città in tanti mercatini natalizi.
Di fatto questa ipertrofia festiva rende sempre più evanescente il nocciolo religioso della notte santa, trasformando la solennità dei cristiani in una campagna commerciale a rilascio lento.
Questa tracimazione calendariale è effetto di un combinato disposto tra il bioritmo dell’economia, con le sue esigenze, e il bioritmo delle nostre vite, sempre più parcellizzate, convulse, individualizzate. Col risultato di togliere intensità a certi momenti. Finendo per diluirli secondo le proprie esigenze e convenienze, rendendoli sempre più prolungati e differiti. Una sorta di destagionalizzazione del “dì di festa” che sincronizza il rito sui tempi della produzione e del consumo. Ecco perché la scintillante girandola natalizia di merci e sentimenti, confezioni ed emozioni, non riesce più a star dentro le due settimane canoniche, tra il 24 dicembre il 6 gennaio. Ormai le feste sono un format a estensione variabile. Il rischio è che a forza di investire sul profano finiremo per svalutare il sacro. E svendere il Natale.
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