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Niente stress a tavola almeno a Natale – la Repubblica inserto Salute

17 Dicembre 2019

Natale non è solo una celebrazione religiosa. È una liturgia gastronomica. Una sacralizzazione della convivialità e della condivisione. Dove l’eccesso non è solo autorizzato. È addirittura consacrato. Ecco perché gli altolà che ogni anno, in prossimità della maratona natalizia, vengono regolarmente intimati ai grassi e alle calorie, restano giustamente inascoltati. E se lo fossero priverebbero le feste del loro aspetto più festoso. Che consiste proprio nel far baldoria e provare satisfaction insieme agli altri. Lo dice la parola stessa, festa, che deriva da un’antichissima radice sanscrita che ha a che fare con il focolare, quindi con la cucina. Come dire che lo spirito del Natale si manifesta soprattutto a tavola. E che quindi in quei santi giorni è vietato vietare.
Dietologi e nutrizionisti sono avvertiti. Riservino ad altri periodi i loro decaloghi salutisti o, meglio, salu-tristi, le loro giaculatorie da neo-penitenti, le loro antifone su colesterolo e radicali liberi, le loro demonizzazioni dello sfizio.
Questo ovviamente non equivale a una licenza di uccidere. Né a strafarsi di capponi, torroni e panettoni, tacchini, cotechini e tortellini. Ma questo lo sapevano benissimo anche i nostri antenati che, senza bisogno di nessun counseling dietologico, redistribuivano nel tempo il cibo di rito, alternando vigilie e feste piene, giorni di magro e giorni di grasso. Non è un caso che le vigilie fossero all’insegna della continenza e dell’astinenza. Niente carni, né prodotti di origine animale. E queste antiche interdizioni rituali sono alla base di molti usi e consumi natalizi. Oltre che di tante tipicità gastronomiche italiane. Basti pensare alla grande pasticceria che attraversa lo Stivale dal Sud al Nord e, al di là delle differenze regionali, ha in comune l’uso del miele al posto del burro o dello strutto per rispettare il divieto di consumare certi grassi. Da questi obblighi religiosi nascono capolavori come panforte e ricciarelli senesi, struffoli e rococò napoletani, i mandorlati veneti, i mostaccioli calabresi, le bisciole lombarde, gli zelten altoatesini e trentini, i panpepati umbri e i frustinghi marchigiani, le cartellate pugliesi e le cubaite siciliane.

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Marino Niola
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