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Culla e sepolcro, un simbolo ambiguo – La Domenica di Repubblica

30 Ottobre 2005

Sud America, Cina, Europa, Stati Uniti: la “cucurbita” è protagonista.  Simbolo universale di stupidità e al tempo stesso nutrimento essenziale dell’intelligenza. La zucca è un tipico esempio dell’ambivalenza dei simboli. Nata in Sud America, la regina delle cucurbitacee si è diffusa in tutto il mondo conservando sempre una straordinaria capacità di colpire l’immaginario. Un po’ per la sua forma, talvolta sferica talvolta fallica, un po’ per le sue dimensioni imponenti che le hanno valso fra i botanici il nome di cucurbita maxima.

È la somiglianza con la testa umana la ragione principale dell’associazione tra la zucca e l’intelligenza. Se infatti l’esterno della cucurbita non è che un contenitore, una calotta protettiva, quel che conta è ciò che si trova dentro: in
senso reale la polpa, in senso figurato il senno. Dal Messico alla Cina, dall’Africa Nera al Mediterraneo i semi di zucca vengono da sempre considerati il carburante del cervello, un vero e proprio moltiplicatore di materia grigia. Un
concentrato di potenza, materiale e spirituale che ha dato vita a un’infinità di miti e credenze.

Gli stregoni hawajiani catturavano le anime, le imprigionavano nelle zucche e le davano in pasto, dietro lauto compenso, a coloro che volevano incrementare la loro performance psico-fisica. E ancora oggi gli sciamani sudamericani fanno risuonare la voce degli spiriti agitando i loro sonagli di zucca pieni di semi. Gli Apinayé, e altri popoli amazzonici, fanno addirittura discendere l’uomo dalla zucca. Secondo il loro mito cosmogonico, infatti, in principio erano le zucche che, gettate nell’acqua dal Sole e dalla Luna, divennero i primi uomini. Ma se in Sud America la cucurbitacea è la grande madre dell’umanità, nel  l’Estremo Oriente essa non è da meno. Anche gli antichi abitanti del Laos si ritenevano nati da una zucca. E secondo un mito cinese l’eroe Fu-Hsi scampò al diluvio universale salendo su una grande zucca galleggiante, come Noè sull’Arca.

Anche nelle tradizioni popolari europee il frutto dalla polpa gialla era considerato una sorta di contenitore soprannaturale, di ricettacolo delle anime dei defunti. Di questa antica credenza pressoché universale la notte di Halloween è solo l’esempio più conosciuto. Ma nell’Italia contadina l’uso di zucche con occhi, naso, bocca e tanto di lumino acceso all’interno era largamente diffusa ben prima che la mascherata made in Usa colonizzasse il nostro immaginario. Un esempio per tutti: la festa delle lucerne di Somma Vesuviana, nell’entroterra napoletano, in cui i morti si manifestano sotto forma di teste di zucca che brillano nelle tenebre.

La differenza è che le tradizioni contadine erano delle tipicità rituali, espressioni di un terroir e di una cultura particolari. Halloween invece è un sabato del villaggio globale, un Mc Donald della paura. Il trionfo di questo sabba planetario fa dimenticare le ragioni e le radici delle biodiversità festive esattamente come avviene per quelle alimentari, messe fuori mercato dal dilagare di un prodotto confezionato altrove e distribuito su scala multinazionale. Il trionfo di questo merchandising cerimoniale conferma così il valore simbolico della zucca, che diventa emblema della sorte delle culture locali. Svuotate progressivamente e riempite di una polpa standard. Senz’anima, né sapore. [Download PDF]

Marino Niola
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