
È Carnevale, tra lussuria e ascetismo regna Antonio, il santo del porcello – La Domenica di Repubblica
A Carnevale si diventa tutti maiali, recita un antico proverbio contadino che stabilisce una stretta analogia tra la festa più trasgressiva e la bestia più allusiva. È almeno dal Medioevo che il porco, sotto forma di culatelli, salsicce, soppressate, lardo e frittelle regna sul martedì grasso. Grasso quanto a calorie ma anche quanto a “porcherie”. Ovvero le licenziosità consentite dal clima festivo. In realtà il porcello è da sempre un emblema dei piaceri della carne in tutti i sensi del termine. Non a caso il Carnevale, festa tradizionalmente caratterizzata dall’eccesso alimentare come dalla deregulation erotica, ha inizio il 17 gennaio, giorno dedicato a Sant’Antonio Abate: conosciuto anche come il santo del porcello visto che di solito viene raffigurato con un maiale ai piedi.
L’associazione tra una festa orgiastica come il Carnevale, il culto di un santo e la figura del maiale è un ulteriore esempio di quella centralità simbolica che caratterizza questi animali nella nostra cultura. Dal mito omerico di Circe, che trasforma gli uomini in maiali, fino ai “Tre porcellini”, i suini sono oggetto di un consumo che è al tempo stesso reale e immaginario. Se è vero che gli uomini non possono fare a meno delle delizie dispensate generosamente dal maiale, un corpo del quale mai nulla va sprecato, è altrettanto vero che non possiamo fare a meno del porco come simbolo, al punto da specchiarci nelle immagini di questo quadrupede che diviene metafora dell’uomo stesso, allegoria delle sue qualità fisiche e morali. Tanto che due vizi o due virtù, a seconda dei punti di vista, come parsimonia e lussuria possono essere entrambe rappresentate dal maialino: emblema del risparmio, sotto forma di salvadanaio, ma anche sinonimo di pensieri e atti impuri, di un temperamento un po’ cochon. L’associazione tra il porcello e Sant’Antonio Abate ha diverse ragioni. In primo luogo le tentazioni cui l’ascetico Antonio viene sottoposto nel deserto da parte del demonio, che gli appare in forma di porco. Secondo le fonti teologiche ufficiali, il santo vince le tentazioni e stabilisce un autentico dominio sui sensi, dunque sul maiale, che da allora si trasforma nel suo doppio. Questa complementarità tra santo e maiale, tra ascetismo vittorioso e sensualità assoggettata, viene invece rovesciata dalla cultura popolare europea che interpreta a modo suo l’agiografia del santo e la riscrive dal basso, sostituendo il severo anacoreta macerato dalle rinunce con il gioviale patrono di tutti i piaceri della carne. È così che Sant’Antonio Abate si fa amico del porcello. E per la proprietà transitiva diventa il vero sovrano del Carnevale. Sia in un caso che nell’altro il tentatore e il tentato diventano di fatto inseparabili, come Adamo ed Eva, come Ulisse e le sirene. E il tema invade l’arte e la letteratura occidentali. Soprattutto nei terroirs che hanno fatto dei salumi un culto. Nella grassa Alsazia, dove un maestro rinascimentale del colore come Mathias Grunewald celebra il maiale tentatore nel favoloso trittico di Colmar. O in quella diafana porcilaia en plein air che è l’Olanda di Ieronimus Bosch, che dedica alle tentazioni l’allucinato capolavoro del Prado e il vertiginoso trittico di Lisbona.
E, last but not least , Federico Fellini con le Tentazioni del dottor Antonio, magistrale variazione cinematografica sul tema con un indimenticabile Peppino De Filippo nei panni di un bacchettone teocon ossessionato da una gigantesca Anita Eckberg dal seno straripante che lo tenta con un allusivo «bevete più latte». Una vera apoteosi del corpo quella del grande regista riminese, figlio non a caso di una terra dove il maiale è sovrano. Il piacere è un culto. E la cochonnerie non è peccato. [Download PDF]
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