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Nell’ovale più sacro ogni fine ha inizio – la Rapubblica

27 Marzo 2016

Oggi su la Repubblica parlo dell’uovo, simbolo della Pasqua. Resurrezione del Dio e rinascita della primavera. Auguri!

FESTA DI RESURREZIONE ma anche rito di primavera. L’arrivo della Pasqua ci fa uscire dal grigio inverno e colora di giallo le nostre giornate. È il momento in cui la natura si risveglia dentro e fuori di noi. E la tavola diventa un trionfo di odori e sapori che sanno di stagione nuova, anzi novella. A cominciare dall’uovo, che regna incontrastato sulla mensa festiva proprio in quanto simbolo di nascita e rinascita, di generazione e rigenerazione. Insomma niente riesce a sintetizzare meglio la ciclicità della vita di questo archetipo da mangiare. Fine e inizio, morte e resurrezione in una sola linea, senza soluzione di continuità.
“Una forma perfetta nonostante sia fatto con il culo”, diceva il grande designer Bruno Munari.

Anche per questo nell’antichità l’ingresso della primavera veniva celebrato con il dono delle uova colorate. E la Terra Madre, regina di tutte le dee, veniva raffigurata con in mano l’uovo cosmico, segno della fecondità e del ritorno annuale alla vita. Il cristianesimo non dilapida questo patrimonio di simboli ad altissima definizione e fa del risveglio stagionale e della resurrezione di Cristo una sola cosa, un vero cortocircuito rituale. Al punto che nel medioevo si raffigurava Gesù risorto che esce dal sepolcro come un pulcino dal guscio. E si raccontava che la Maddalena, mentre pregava sulla tomba di Gesù, avrebbe visto l’uovo che teneva fra le mani trascolorare in un rosso porpora. Era il segno soprannaturale che il dio stava risorgendo.

Insomma dall’uovo primordiale a quello di cioccolato, il passo è breve. Per questo le nostre feste pasquali sono delle orge rituali a base di tuorli, albumi, focacce, frittate, ciambelloni, colombe, farce, cresce. È il momento delle torte dolci e salate, piatto forte di questa liturgia proteica, dove le uova devono essere rigorosamente a vista, con sopra una bella croce di pasta frolla o sfoglia.
Per comunicare urbi et orbi che si tratta di un mangiare sacro. Di un’abbuffata come Dio comanda. È il caso degli straripanti casatielli partenopei. O delle barocche “cuddure ccù l’ovu” siciliane. Ma anche dei “coccoi cun s’ou”, monumento della gastronomia popolare sarda. E, naturalmente, delle raffinatissime e sobrie pasqualine genovesi, che guardano dall’alto in basso le supponenti “quiches” francesi.
E last but not least la sontuosa pastiera napoletana che, al trionfo delle uova, associa quello delle messi, altro grande simbolo primaverile delle religioni mediterranee. Perché in ogni spiga abitava quel dio che dorme sepolto in un campo di grano. E che è pronto a rivivere per diventare il nostro pane quotidiano. Così la gola diventa devozione. E qualche volta la digestione si trasforma in passione.

Marino Niola
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