
Le asettiche parole non bastano più – il Caffè
Il linguaggio prima di significare qualcosa, significa per qualcuno, diceva…
Senza calze la befana perderebbe buona parte del suo appeal. Oggi la mia rubrica Miti d’Oggi sul Venerdì di Repubblica è dedicata alla fenomenologia della calza, dalla befana a noi. Buona lettura!
Senza calze la Befana perderebbe gran parte del suo appeal. E oltretutto non sarebbe più lei. Perché è proprio questo super accessorio, significativo, allusivo e seduttivo, a fare della vecchia svolazzante, la regina della notte più incantata dell’anno. In realtà la magia della calza è molto più antica di quella della Befana. A mettere i primi doni in un’autoreggente è infatti la bellissima dea Egeria, protettrice del re di Roma Pompilio, che nei primi giorni di gennaio portava dolcetti e bigliettini. Con rimproveri e ammonimenti. Dalla giovane divina alla buona vecchina il passo è lungo, ma ci sta tutto.
E a chiudere il cerchio ha pensato la cultura popolare, trasformando il termine Epifania, che in greco vuol dire apparizione della divinità di Cristo ai Re Magi, in Befania, e poi in Befana. Così un’astrazione teologica diventa una vegliarda mitologica. Che assegna premi e castighi ai bambini per tenerli sotto scopa.
Tutto l’opposto di quel che accade nella modernità, dove il fascino delle calze resta, ma il loro significato cambia completamente.
Da strumento educativo a indumento eversivo. Soprattutto da quando le gambe femminili escono allo scoperto gettando alle ortiche abiti soffocanti e look castigati. Come nella Londra dei Beatles e di Mary Quant, dove i collant fanno la rivoluzione stringendo una santa alleanza con la minigonna. Velare e svelare, premiare e educare, liberare e emancipare. Che siano quelle della Befana o quelle di Betty Boop, di Monica Bellucci o di Pippi Calzelunghe evidentemente le calze restano un simbolo per tutte le stagioni.
E per tutte le passioni.
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