
L’odore sacro di Betlemme nei presepi tra i borghi – la Repubblica
Il presepe è il Vangelo in dialetto. Il dogma dell’incarnazione ad uso della gente comune, che si mette nei panni di Maria, Giuseppe, dei Re Magi e dei pastori. E così dà un volto umano alle astrazioni della teologia, traducendo la buona novella nel lessico famigliare degli affetti, dei ricordi, delle emozioni. Lo capì prima di tutti San Francesco che inventò il presepe, affidando il ruolo di protagonisti del Natale agli abitanti di Greccio, un piccolo borgo montano dell’Italia centrale. Uno scenario ben diverso da quello di Betlemme. Ma è proprio questa differenza a rendere universale il messaggio presepiale, rendendo comprensibile agli spiriti semplici, il mistero del dio che per redimere il mondo si fa uomo. E nasce in una mangiatoia, scaldato dal bue e dall’asinello, due animali sacri al lavoro contadino. In fin dei conti era un modo per riaffermare le umili origini del Redentore, del Cristo che rivive in ogni povero cristo. È vero che il presepe è la Palestina in ogni luogo anche se in realtà ogni popolo lo fa a propria immagine e somiglianza.
Ma pochi paesaggi gli si addicono come quello marchigiano. Ricco di quinte naturali, di grotte, di anfratti, di misticismo e di magia, di testimonianze nobili e di ricordanze popolari.
A cominciare da Urbino che movimenta la sua rarefatta urbanistica rinascimentale con 150 Natività in esposizione, compresa quella celeberrima di Federico Brandani. Che risale al Cinquecento ed è il più antico presepe a grandezza naturale del mondo. Ma di questi tempi tutte le Marche diventano un presepe diffuso. Una sola scenografia natalizia. In realtà è proprio questo lo spirito autentico dell’invenzione francescana. Figlia dei drammi sacri medievali che rappresentavano episodi del Nuovo Testamento, soprattutto l’Annunciazione e la nascita di Gesù. A partire dal Milleduecento il teatro della Natività abbandona le chiese e si trasferisce nelle strade e nelle piazze. Trasformandosi in presepe vivente. Solo in seguito la rappresentazione mobile diventerà fissa e i personaggi in carne ed ossa lasceranno il posto alle statuine dei pastori che hanno reso celebre l’artigianato natalizio italiano.
I presepi delle Marche sono l’esempio più completo di questa evoluzione storica. Ce ne sono di tutti i tipi. Viventi, fissi e semoventi.
Dal corteo di Candelara dove in questi giorni tutte le figure del presepe, animali compresi, sfilano per le vie del paese. A quello meccanico di San Marco a Fano, impressionante per dimensioni ed ingegno. E in mezzo, quelli di Mombaroccio, Piobbico, Numana, Matelica, Cagli, Maiolati Spontini, Fabriano, Sassoferrato, Serra San Quirico, Grottammare.
Dove la bellezza dei manufatti artistici, dei costumi, delle coreografie è profondamente collegata con la storia e la memoria delle comunità, che nell’allestimento della macchina rituale mettono in mostra il meglio delle loro tradizioni e vocazioni. Ma quale che sia la location, sui monti sibillini o sulle colline ascolane, sulle alture del Montefeltro o sulle rive dell’Adriatico sulla santa grotta aleggia sempre quello che Fabrizio de André chiamava odore di Gerusalemme.
Quell’incanto che ogni anno sospende la vita quotidiana con le sue passioni, ossessioni, preoccupazioni, in un fermo immagine che rende attuale l’eternità. E ogni volta fa rinascere la Natività.
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