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I diritti di chi mangia e quelli di chi viene mangiato – il Venerdì di Repubblica

2 Febbraio 2018

Più diritti per i crostacei. Lo ha deciso il governo svizzero, che ha vietato la cottura di aragoste e astici vivi. Dal primo marzo non sarà più possibile immergere nell’acqua bollente i ricercatissimi decapodi restando insensibili al loro grido di dolore.
E sarà proibito anche il trasporto nel ghiaccio tritato, che è causa di grandi sofferenze per le povere bestie. Concessa invece l’acqua di mare. Qualche chef stellato ha protestato in nome delle superiori esigenze dell’alta cucina.
«Mi dispiace per le aragoste» ha detto uno di loro «ma è l’unico modo».
A dire il vero l’argomento non sembra né rispettoso né rispettabile. Anche perché mettere dolore e sapore sui due piatti della bilancia, contrapponendo il peso dell’uno a quello dell’altro, signieliminare dalla cucina qualunque ragione di ordine etico. E considerare gli animali non come degli esseri viventi, ma semplicemente come carne più o meno pregiata, venuta al mondo a nostro uso e consumo. In realtà la decisione delle autorità elvetiche testimonia un ulteriore spostamento della soglia delle sensibilità e fa fare un nuovo passo avanti alla discussione sui diritti delle altre creature.
E le nuove disposizioni di Berna stanno riaccendendo il dibattito anche nell’Unione Europea, dove mancano norme in materia. Fino a qualche anno fa una legge del genere sarebbe stata impensabile, ma adesso i tempi stanno per cambiare. Perché ormai è scientificamente provato che i viventi, con le zampe o con le chele, con le ali o con i tentacoli, sono in grado di soffrire. E anche le aragoste, nel loro piccolo, s’incazzano. E quindi la compassione nei loro confronti diventa la cartina di tornasole della nostra civiltà. O della nostra crudeltà.

Marino Niola
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