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Così la memoria si è fatta dolce – la Repubblica

1 Novembre 2018

A novembre i morti si risvegliano con un certo appetito. E per questo che i vivi gli offrono da sempre ogni sorta di bontà, dolci e salate. Una volta in ogni casa si imbandiva per i trapassati una tavola ricca di cibi e dolci fatti apposta per loro accompagnati da grandi caraffe d’acqua per dissetare i viandanti dell’aldilà. Si chiamava il rinfresco dei morti, o banchetto di San Giuseppe e si apparecchiava la notte del primo novembre. Le anime dei cari estinti ricambiavano il piacere di aver mangiato ancora una volta nella loro casa dell’aldiquà lasciando doni per i bambini. Da questi usi nascono straordinarie tipicità come le fave dei morti, i pasticcini di miele e mandorle di area veneta, o le pupe di zucchero, o le tibie di marzapane che si regalano tuttora ai bambini in Sicilia e in altre località del Mezzogiorno.
In tutta Italia erano diffuse tradizioni come le questue di novembre. Organizzate da bande di bambini che andavano in giro a chiedere doni e cibo per conto dei defunti. Insomma, il “dolcetto o scherzetto” di Halloween viene da molto lontano. Non è un caso che gli ingredienti base di questa cucina postuma siano miele, zucchero, mandorle, nocciole, uova, cacao. Calorie simboliche per un popolo che ha freddo. Oltretutto nell’immaginario mediterraneo il miele è legato al cordoglio e al pianto. Molte leggende lo associano alla morte di Cristo facendo addirittura nascere le api dalle lacrime del Figlio di Dio. Anche la mandorla è simbolo di morte e rinascita, ovvero del “nocciolo” divino della vita, quello che resiste alla morte.
Da queste tradizioni nascono i nostri torroni, mandorlati, panforti, copete, cubaite, croccanti che trasformano questa corrispondenza d’amorosi sensi con chi non c’è più, in una memoria dolce come il miele.

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Marino Niola
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