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Ma quanti inutili spargimenti d’inchiostro – la Repubblica

25 Gennaio 2019

Cosa resta della tesi di laurea nell’era della scrittura digitale? Essenzialmente un problema di smaltimento. Quel che è emerso all’Università di Firenze non è che la punta di un immenso iceberg di carta che deborda in tutti gli atenei e non si sa più come contenere.
Paradossalmente è quel che insinua in maniera subliminale la parola stessa, tesi, derivante da un verbo greco che significa porre, collocare. Come dire che il vero problema della tesi è dove metterla. Così quel fascicolo lussuosamente rilegato, cartonato, telato, setificato, pomposamente impresso a lettere d’oro e d’argento, nel quale si sono riposte tante speranze si trova improvvisamente retrocesso, declassato, svalutato. Non più summa dello scibile accumulato dallo studente in anni di corsi, ricorsi e fuoricorsi. Non più attestazione di credito da spendere nel corso della vita. Ma residuo invadente da destinare a usi impropri.
Fermare una porta, sorreggere una stampante, stabilizzare un comodino zoppo. O, nella più nobile delle ipotesi, finire in uno scaffale come memoria muta e nostalgica di stagioni passate. Nell’era della smaterializzazione dei supporti, comunque la tesi di laurea rimane un totem. Polveroso ma prestigioso, ingombrante ma importante.
Forse per sottrarsi a questo destino di oblio questo tomo ponderoso ha sviluppato delle vere e proprie strategie di sopravvivenza. O addirittura di resurrezione, per tornare in vita sotto altro nome. Casomai cambiando rilegatura, frontespizio, titolo e nome dell’autore. Se c’è una prova dell’esistenza della metempsicosi, questa sta proprio nella straordinaria capacità che certe tesi di laurea hanno di reincarnarsi e tornare in circolazione. Per essere discusse e poi più volte ridiscusse, casomai dalla stessa ignara e togatissima commissione. Alimentando una fiorente economia del riciclo.
Ne sa qualcosa la cancelliera Merkel che ha visto ben due dei suoi ministri costretti ad andarsene ingloriosamente con la tesi tra le gambe. Perché era la fotocopia di lavori altrui ormai archiviati. In realtà la dissertazione di laurea è l’unico giallo che porta in copertina il nome del colpevole, insieme a quello di mandanti, complici e fiancheggiatori. E in molti casi, siamo di fronte ad inutili spargimenti di inchiostro. Oltre che al sacrificio cruento di alberi innocenti sull’altare della burocrazia culturale. Perché, è inutile girarci intorno, molti dei voluminosi malloppi che adesso gli atenei non sanno più dove ficcare meriterebbero di essere eliminati, o dimenticati. Come prove imbarazzanti da far sparire per sempre. E senza rimpianti.

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Marino Niola
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