
Orgoglio nero contro chi sbianca: #BlackToo – il Venerdì di Repubblica
La pubblicità la sbianca. E la testimonial protesta.
Lei è Freida Pinto, la modella indiana la cui pelle ambrata è stata impallidita per la campagna fotografica di una celebre casa di cosmetici. Freida lo ha raccontato nei giorni scorsi al Guardian. Ma il suo caso non è certo l’unico. Era successo anche a Beyoncé. E alla tennista Naomi Osaka, il cui viso è stato scolorito in un fumetto, che pure celebra le sue gesta agonistiche.
Ma soprattutto questo whitewashing è solo la parte affiorante e glamour di un fenomeno che va ben oltre lo star system, di un trend autocandeggiante diffuso in tutto il mondo e in tutti i ceti.
Di cui i colored sono spesso parte attiva, prime fra tutti le donne. La pratica non è nuova ma si spande a macchia d’olio. Nei Paesi in via di sviluppo le cure schiarenti sono ormai virali.
Nei mercati delle megalopoli africane, Lagos, Accra, Dakar, si vendono creme e pastiglie che tolgono la negritudine strato dopo strato. Come una macchia da cancellare. Ma anche in Occidente questa cosmetica da poveri fa affari d’oro.
Nei mercati etnici di Londra, come Borough e Brick Lane, in quelli parigini come Belleville e Barbès, in quello torinese di Porta Palazzo e altri, si trova una miriade di prodotti per cambiare tinta. Un modo per abrogare, insieme alla melanina, anche la propria origine.
Forse l’orgoglio nero di Freida e di molte altre star che stanno vietando di schiarire la propria immagine con fotoshop e introducono nei loro contratti delle apposite clausole per evitarlo, aiuterà tante persone a non farsi più del male per diventare come noi. Potrebbe essere l’inizio di un nuovo movimento. #BlackToo.
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