
Quando i problemi dell’ambiente erano dèi (da placare) – il Venerdì di Repubblica
Chi l’ha detto che gli antichi non avessero scienza e coscienza ecologica? Ne avevano al punto tale da divinizzare i problemi ambientali, personificando persino le malattie vegetali come la cosiddetta ruggine del grano.
I romani la identificavano con Robigo, una dea che veniva invocata con un rito solenne il 25 aprile. Così se noi stiamo per celebrare l’anniversario della Liberazione, per i nostri antenati quel giorno era la festa di liberazione dagli infestanti. Cioè le forze negative che mettono in pericolo l’equilibrio tra società e ambiente, tra gli uomini e la terra.
E alla fine creano fame e carestie, disuguaglianza e ingiustizia sociale.
Per scongiurare tutto questo i nipotini di Romolo e Remo, oltre alle tecniche agronomiche di cui erano maestri, si raccomandavano alla divina Robigo, perché stesse lontana dalle gemme che proprio in questo periodo cominciano a sbocciare. In realtà pur senza l’inquinamento contemporaneo, il mondo preindustriale non era certo un Eden. E perfino l’arte, che di solito tende a idealizzare la realtà, registra implacabilmente le infezioni e le contaminazioni che sono parte costitutiva del vivente. Come nella vertiginosa Canestra di frutta di Michelangelo da Caravaggio dove le foglie, i pomi, l’uva appaiono guastati, malati, attaccati da parassiti.
In effetti l’idea che una volta la terra fosse benigna, incontaminata e in equilibrio è un grande mito contemporaneo, che racconta una natura in origine buona poi lentamente sporcata dal progresso.
È una fantasia che ci fa vedere l’antica madre pura e generosa trasformata in una erinni ferita e vendicativa. Specchio dei nostri sensi di colpa.
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