
Civiltà è una pentola dove si mescolano ingredienti diversi – il Venerdì di Repubblica
La storia umana inizia con un morso di troppo. Quello di Adamo e di Eva che mangiano il frutto proibito disobbedendo al Signore. Che li scaccia dal paradiso terrestre e li costringe a faticare per vivere e soprattutto a cucinare per mangiare.
Lo racconta Miriam Camerini in un libro delizioso intitolato Ricette e precetti, appena uscito da Giuntina (pp. 224, euro 15,30). Da quel lontano giorno, un filo doppio lega cibo e religione.
Dietro ogni ricetta c’è un precetto, un obbligo o un divieto. Cosa mangiare, cosa non mangiare, quando, quanto, in quali giorni banchettare, in quali digiunare. Perché ebrei e islamici non mangiano maiale mentre gli indiani si astengono dalla carne bovina? A queste ed altre domande l’autrice risponde con sapiente leggerezza associando i suoi racconti alle ricette di Benedetta Jasmine Guetta e Manuel Kanah. Dal libro emerge chiaramente come le diverse gastronomie traducano nel linguaggio del gusto il rapporto che una società ha con la natura e con il soprannaturale.
E che le differenze e le somiglianze tra le diverse sponde del Mediterraneo si capiscono bene soltanto in relazione alle vicende dei tre grandi monoteismi. Ebraismo, islam e cristianesimo. Uniti dall’olio e dal grano ma separati dal vino.
Come scrive Paolo Rumiz nell’introduzione, se il cibo riesce a coniugare l’identità e la contaminazione con l’altro, produce buone ricette di convivenza.
Non a caso le grandi eccellenze che fanno il vanto di ogni tavola sono il risultato di incroci, contaminazioni, scambi, prestiti. Perché un piatto ben riuscito non è altro che una mescolanza di ingredienti diversi che messi in pentola diventano una cosa sola. Questa pentola si chiama civiltà.
Discussion about this post