
Il peso della storia sul Presidente – la Repubblica
Il mondo si divide fra chi la storia se la fa scivolare addosso e chi invece se la carica sulle spalle. Il presidente Sergio Mattarella appartiene alla seconda categoria.
A dirlo, prima ancora delle sue parole, sono la sua figura e la sua postura. Quella geometria severa che sembra comandarne i movimenti e le espressioni è l’incarnazione di un’idea tragica della storia, intesa come destino e come scelta, come eredità e come responsabilità. La stessa idea che si disegnava sul volto di Giovanni Falcone quando a chi gli domandava se avesse paura, rispondeva: «Io sono un siciliano, la mia vita non vale un bottone della mia giacca se non è spesa per la giustizia». È il 6 gennaio 1980 il giorno in cui l’angelo della storia si appoggia con tutto il suo peso sulle spalle del giovane Sergio Mattarella, professore di Diritto parlamentare all’Università di Palermo. Costretto a raccogliere il corpo di suo fratello Piersanti, presidente della Regione siciliana, appena caduto sotto il piombo mafioso. Quell’attimo, immortalato dalla fotografa Letizia Battaglia, è rimasto negli occhi e nel cuore degli italiani. Anche grazie alla testimonianza di Attilio Bolzoni che quel giorno era proprio lì, sul luogo della strage e che ha raccontato su questo giornale la tragedia che si consumò in via Libertà. Un nome che nella Palermo di allora suonava quasi come una beffa. Perché quale libertà poteva esserci in un posto dove le persone migliori venivano abbattute come birilli?
In quell’immagine, terribile come un dies irae, il futuro capo dello Stato sorregge il fratello per le spalle, mentre la cognata Irma Chiazzese, con l’indice e il pollice maciullati da un proiettile, cerca di sollevarlo per le gambe. Sembra il fotogramma di una deposizione. E al tempo stesso l’accettazione di una storia che da quel momento smette di essere solo individuale e diventa corale, familiare, civile.
Modellando, letteralmente, il corpo dell’uomo Mattarella, fissandone l’asse esistenziale su un baricentro che è insieme fisico e politico. E che si scompone solo in rare occasioni, quando l’empatia con le vicende degli altri, lo manda fuori asse. Per esempio quando abbraccia con slancio paterno Manfredi Borsellino, in occasione del 23esimo anniversario della strage di via D’Amelio.
È questa biografia sofferta e incarnata, questa profonda cognizione del dolore che impediscono a un uomo come Sergio Mattarella, a prescindere dal ruolo istituzionale, di essere una marionetta del presente. Come succede a tanti politici di oggi, che invece incarnano un’idea della storia da caffè dello sport. E assomigliano agli ominicchi di cui parla Sciascia ne Il giorno della civetta, simili a “bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le mosse dei grandi”. Perché nel bene e nel male, come diceva Cicerone, l’uomo è la sua storia. E il suo corpo ne è il registro vivente. In questo senso le spalle composte e ferme del Presidente fotografano l’assunzione di tutto il peso di un tempo difficile.
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