
Made in Italy su la testa – la Repubblica
Le colline del Prosecco sono patrimonio dell’Umanità. Lo ha deciso all’unanimità il Comitato del Patrimonio Mondiale Unesco riunito a Baku, Azerbaijan. Adesso a Conegliano e a Valdobbiadene (Treviso) possono far saltare i tappi e far scorrere a fiumi le bollicine per festeggiare una vittoria che premia un grande lavoro di squadra che, ha sottolineato il ministro degli Esteri, Enzo Moavero-Milanesi, ha visto impegnato, Farnesina in testa, l’intero sistema-paese. Dal ministero delle Politiche agricole, ambientali, forestali e del turismo a quello per i Beni e le attività culturali, fino alla Regione Veneto.
Il prestigioso riconoscimento suona come l’ennesima conferma della reputazione crescente del Made in Italy alimentare. Che non è solo cibo, ma è un particolare modello di cultura, di società e di economia, da cui nascono le nostre cattedrali del sapore.
La patrimonializzazione del paesaggio culturale trevigiano e della sua storia viene infatti a coronare uno score esaltante cominciato nel 2010 con l’iscrizione nella lista Unesco della dieta mediterranea, seguita negli anni successivi dalla vite ad alberello di Pantelleria, poi dalle colline piemontesi delle Langhe-Roero e Monferrato e infine dall’arte dei pizzaiuoli napoletani.
Questa consacrazione internazionale di uno dei vini forse più conosciuti al mondo, certamente il più imitato, certifica l’eccellenza della via italiana all’enogastronomia e aiuta persino a difenderla dalle contraffazioni. Da quell’italian sounding che riempie gli scaffali dei supermercati dell’intero pianeta di prodotti che di nostrano hanno solo il nome. D’altra parte, questo tsunami di falsi, questo fake food tricolore, è la prova che il cibo italiano è ormai un mito planetario. È da questo che bisogna ripartire per trasformare il danno in guadagno.
E adesso il nostro Paese dispone di un’arma in più. Perché è noto che i riconoscimenti Unesco hanno grandi ricadute economiche, non solo per il prodotto e per la filiera artigiana da cui ha origine, ma per tutto quello che c’è intorno, per quell’indotto storico e antropologico fatto di coltura e di cultura, di vocazioni e di tradizioni, di passato e di futuro. Su tutto ciò l’Italia deve continuare a investire, per promuovere, ma anche per conservare i propri beni. Perché nel momento in cui l’umanità intera li considera patrimonio comune, diventiamo anche responsabili della conservazione e della tutela di questi capolavori del genius loci. In questo senso bisognerà lavorare molto per continuare a guadagnarsi, giorno dopo giorno, il riconoscimento conquistato. Rendendo il patrimonio sempre più sostenibile anche sul piano ecologico. Perché la storia del Made in Italy, alimentare e non solo, è caratterizzata da sempre da un circolo virtuoso di bellezza e di bontà, di arte e di manualità. Un intreccio inimitabile tra capolavori dell’arte e templi del gusto. Perfezionare questa sinergia potrebbe aprirci autostrade di economia pulita.
Siamo pur sempre il paese dove Raffaello fa rima con culatello, Lorenzetti con spaghetti e Giotto con lampredotto.
Adesso non resta che trovare una rima anche per il prosecco.
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