
La lezione della sirenetta fuor d’acqua – il Venerdì di Repubblica
La prossima sirenetta sarà nera. E avrà il volto bellissimo della diciannovenne Halle Bailey, attrice e cantante di successo. Lo ha annunciato la Disney con un tweet. La notizia è diventata subito virale. E il web si è acceso come una polveriera che brucia ancora.
A parte gli squallidi commenti razzisti degli haters, anche molti fan hanno criticato la scelta. Perché, a parere dei più, cambiare pelle alla sirena più famosa del mondo creerebbe sconcerto negli aficionados che si sono assuefatti al colorito latteo e ai capelli rossi di Ariel. Se la major americana voleva lanciare una principessa colored, dicono i fan, allora sarebbe stato meglio inventare una fiaba nuova. Senza sacrificare la pelle candida dell’eroina disneyana sull’altare del politicamente corretto.
Molto probabilmente Hans Christian Andersen, l’autore della fiaba, si starà rivoltando nella tomba a leggere certe esternazioni. Perché i personaggi delle sue storie non hanno indicazioni di nazionalità né di colore. Sono creature fantastiche e soprattutto universali.
E non hanno nulla a che fare con il format melenso e conformista cui le riduce spesso l’industria dello spettacolo.
In realtà La sirenetta è tutto tranne che un racconto per ragazzine sdolcinate. È una parabola triste, senza lieto fine, dove la protagonista sacrifica tutto di sé, voce, casa, famiglia, sogni, pur di piacere a un principe che non è degno neanche di lustrarle la coda. Perché non capisce il valore della persona che ha davanti. E la molla per un’umana. Condannandola a diventare uno spirito dell’aria, costretta a vagare come un’anima in pena per trecento anni.
Insomma, è sulla morale della favola che ci sarebbe da riflettere. In fondo in ogni essere che non viene accettato per quel che è, c’è una sirena fuor d’acqua. Indipendentemente dal colore della pelle.
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