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«Don Giovanni è social e trans». Ne parlo con Ida Palisi su Il MATTINO

8 Settembre 2019

Oggi la versione low cost di don Giovanni ha gli occhi a mandorla ed è fidanzato contemporaneamente con diciassette donne. E il dongiovannismo nell’epoca del narcisismo on line è un fenomeno virale e unisex. Lo analizza l’antropologo Marino Niola nel libro Diventare Don Giovanni. Un viaggio attraverso l’Europa sulle tracce del grande seduttore (Bompiani, pagine 240, euro 12), dove spiega come il donnaiolo libertino raccontato da letteratura, teatro, musica e cinema sia tutt’altro che un mito dei tempi passati, ricostruendone la fortuna nelle sue tappe fondamentali. Tra cui anche Napoli.

Professore cosa c’entra don Giovanni con Napoli? 

 «Don Giovanni nasce a Siviglia nel 1625, ideato dal frate Tirso de Molina, però la prima rappresentazione europea fuori dalla Spagna, addirittura nello stesso anno, avviene a Napoli per opera di una compagnia spagnola. E qui che del tema si impadroniscono i comici dell’arte, le maschere, e lo cambiano, dando vita a un’altra tradizione di area napoletana. Per cui si può dire che Don Giovanni rinasce a Napoli».

Come si trasforma il personaggio?

«I comici dell’arte lo globalizzano. Sono loro a portarlo nella ricca Parigi di Luigi XIV, dove ne fanno teatro puro, mettendoci dentro l’elemento comico, la burla, le maschere. C’è una versione napoletana andata perduta, di Gilberto da Solofra, che passa nelle mani dei comici che si trasferiscono a Parigi e poi in quelle di Molière che ci fa il suo don Giovanni, molto napoletano, fino ad arrivare a Mozart. Quindi c’è una sorta di viaggio che va da Siviglia a Napoli e a Parigi e finisce a Praga, nel 1787, col debutto del don Giovanni di Mozart che si intesta il mito per sempre. Per noi il fotogramma zero di don Giovanni ormai è il suo, però tutto questo senza Napoli non sarebbe stato possibile».

Dice che «le donne nella storia del grande cacciatore di gonnelle sono una condizione narrativa necessaria ma non sufficiente». Che cosa lo caratterizza allora?

«Le donne sono l’aspetto fondamentale, il 75 per cento, con l’altro 25 fatto di quella spavalderia piena di “cazzimma” che non arretra davanti a niente, neanche di fronte all’inferno che si spalanca sotto ai suoi piedi. Rifiuta di pentirsi e rivendica fino all’ultimo il suo atteggiamento di sciupafemmine consumistico. E poi c’è l’altro aspetto fondamentale: don Giovanni attacca al cuore la morale, che era fondata sulla famiglia, quindi sulla sessualità riproduttiva. È una macchina celibe come avrebbe detto Marcel Duchamp, è questa la sua forza dirompente anche oggi».

La storia – o forse bufala – del seduttore seriale cinese Yuan che cita nelle conclusioni fa capire che il mito è ancora vivo.

«Sì, per il fatto stesso che diventa virale sui social. È il grande mito occidentale che viene taroccato in Cina, la patria della falsificazione. E poi don Giovanni in fondo precorre la società di oggi perché consuma le donne, una dopo l’altra, con una specie di obsolescenza rapida delle sue conquiste per cui ce ne vuole sempre una nuova. Perdo è perfettamente a suo agio in una società come questa dove il dongiovannismo è diventato di tutti, c’è una bulimia della conquista per cui nascono anche siti che ti fanno scegliere il partner in base a quale insalata mangia».

Il dongiovannismo non fa più scandalo?

«No, la seduzione tradizionale non scandalizza perché lo scandalo sta altrove, nel violare le norme. Più si spostano i valori e più cambiano i lineamenti di don Giovanni, però forse il classico seduttore potrebbe avere un effetto dirompente nei Paesi islamici dove c’è ancora una morale sessuofobica così forte. Da noi ci vuole altro per scandalizzare».

Scrive che siamo passati a trans Giovanni oggi.

«Sì, parlo di una condizione sociale diffusa. Don Giovanni è un personaggio liquido, non è di nessuno, è un po’ tutto. Anche l’amore è liquido, lo prova la fragilità delle relazioni, il fatto che il venticinque per cento dei matrimoni finisce entro un anno, che la gente non si sposa più ma che cambia continuamente partner come i vestiti. Questo è il tempo in cui don Giovanni si è sciolto nei social».

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Marino Niola
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