
Lui no lei neppure. Meglio loro – il Venerdì di Repubblica
Belli e comunicativi, dolci e seduttivi. Tutto fuorché aggressivi. Sono i divi di domani, i nuovi transmaschi che stanno cambiando il volto della tv. Logan Rozos, Elliot Fletcher, Ian Alexander, i più noti, tutti giovanissimi. Negli States li chiamano transmale, perché sono al di là del maschile e del femminile. Ma sono più avanti anche del gay e perfino del trans.
Più che persone in transizione, sono la transizione fatta persona. Esprimono il rifiuto di essere rinchiusi in una sola identità. Ma al tempo stesso avvertono come una gabbia anche un’identità doppia. Jill Soloway, creatrice della serie di culto Transparent, un gioco di parole fra trasparente e transgenitore, si autoproclama nonbinary, non binaria. Questa nuova tendenza riflette un sentire sempre più diffuso tra i Millennials, che non si riconoscono più in categorie tradizionali come etero o omo, ma si avvertono come tante persone in una. Secondo una statistica riportata da Time il 20 per cento dei giovanissimi preferisce
non declinarsi al singolare.
Tanto che per definirsi non usa più né he (lui) né she (lei). Ma ricorre a they, cioè loro. Come dire che ciascuno è una persona plurale. Lo specchio di questo big bang identitario è Facebook, che con il suo miliardo di utenti, offre ben sessanta modi diversi per definire il proprio sex.
Di fatto questa schiera di divi dal genere fluido sta cambiando la narrazione televisiva, grazie anche a piattaforme progressive come Netflix e Amazon. E finalmente sta aprendo una breccia nel senso comune, facendo saltare un’ideastereotipa del genere e del sesso che era buona per la società agropastorale. Ma che semplicemente è sempre più inadeguata a rappresentare un’umanità in trasformazione come la nostra. Con buona pace di Radio Maria.
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