
Il patrimonio immateriale è molto solido – il Venerdì di Repubblica
Non solo Pompei e la Reggia di Caserta. Ma anche la gastronomia e le feste popolari.
Nei giorni scorsi è stato pubblicato il primo Inventario del Patrimonio Culturale Immateriale Campano dove esperti di diverse discipline scientifiche e umanistiche, coordinati da Rosanna Romano, hanno stilato un catalogo che accanto ai musei e alle cattedrali, alle biblioteche e ai siti archeologici, riconosce l’importanza di quel patrimonio collettivo fatto di tradizioni, di saperi, di pratiche artigianali, di feste, di tipicità enogastronomiche, in cui le comunità incidono a caratteri profondi la loro identità. Come nel caso dei carri di grano dell’Irpinia e del Sannio, obelischi alti come palazzi portati a spalla per le vie di paesi presepio come Mirabella Eclano, Flumeri, Fontanarosa, Villanova del Battista, Foglianise, San Marco dei Cavoti. O di quegli autentici Teatri della Passione che sono i riti della Settimana Santa di Procida, di Sessa Aurunca, di Sorrento. Ma anche la cosiddetta “vendemmia eroica”, la raccolta dell’uva che ad Aversa viene fatta crescere da tempi antichissimi in filari pendenti ad altezze vertiginose da pioppi altissimi. Un insieme di sforzo umano e di epica comunitaria che emozionò Mario Soldati e Luigi Veronelli. Senza dire della canzone napoletana, con i suoi intrecci secolari di sentimenti, struggimenti e trasalimenti. Con la pubblicazione di questo Ipic, destinato a crescere anno dopo anno, la Regione Campania offre un bell’esempio di democratizzazione del patrimonio culturale. Che viene estesa a tutte le manifestazioni, le vocazioni e i consumi che riflettono l’ethos e il pathos delle collettività. È la stessa filosofia che ha portato l’Unesco a proclamare la Dieta mediterranea e l’Arte dei pizzaioli napoletani, patrimoni dell’intera umanità. Insomma, un bel salto dal globo dei villaggi al villaggio globale.
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