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Rendiamo liscio il futuro dell’olio italiano – il Venerdì di Repubblica

22 Novembre 2019

Adesso l’olivicoltura potrebbe diventare un bene culturale. Prima dell’Italia e poi del mondo intero. L’Associazione nazionale città dell’olio ha infatti iniziato le pratiche per il riconoscimento dell’importanza di questo simbolo millenario della civiltà e della dieta mediterranea da parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e in seguito dell’Unesco. E per fare il punto ha convocato gli stati generali dell’olio, che si riuniranno a Siena il 29 e 30 novembre. L’incontro, che si terrà nello splendido complesso di Santa Maria della Scala, ha un titolo eloquente, Olio 2030 costruire il futuro. Secondo gli ideatori, Enrico Lupi e Antonio Balenzano, rispettivamente presidente e direttore dell’Associazione – che festeggia 25 anni – è urgente creare una cultura diffusa dell’olio, una nuova narrazione che integri gli sforzi dei coltivatori, dei produttori e dei tecnici, al fine di valorizzare un patrimonio che rappresenta la sintesi delle civiltà affacciate sul Mare Nostrum.
Dove ambiente e società, religioni e tradizioni, economie e filosofie si sono costituite intorno all’emblema dell’olivo. Il cui valore era tale che nell’antichità era sacro e si giurava sugli ulivi come noi sulla Bibbia. Dono degli dei nel mondo pagano. E del dio incarnato in quello cristiano. Il nome Cristo, infatti, significa letteralmente unto. Esattamente come Messia, dall’ebraico Masiah. Dall’Italia alla Grecia, dalla Croazia alla Spagna, l’albero dalla chioma d’argento è diventato il simbolo stesso del paesaggio mediterraneo. E delle sue cucine, che hanno fatto dell’olio il loro plusvalore gastronomico e dietetico. In grado di conciliare gusto e salute. Adesso servono informazione e formazione per compiere il passo ulteriore. E trasformare l’eredità del passato in investimento sul futuro. Perché oggi come non mai, cultura ed economia sono indispensabili allo sviluppo del Food Europa.

Marino Niola
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