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Voglio parlare con mio fratello scimpanzé – il Venerdì di Repubblica

13 Dicembre 2019

Le tribù irochesi del Canada, prima di dare inizio alle assemblee degli anziani, chiedevano sempre chi avrebbe fatto da portavoce per conto dei lupi. Era un modo per esprimere la parentela tra uomini e animali, la comune appartenenza a uno stesso ecosistema.
Lo ricorda la primatologa Sabrina Krieg in un libro molto istruttivo, Chimpanzés, mes frères de la forêt (Scimpanzé, i miei fratelli della foresta) appena uscito in Francia per le edizioni Actes Sud.
L’autrice che studia da più di vent’anni le comunità di scimpanzé del parco nazionale di Kibale, in Uganda, sostiene che per gli umani è assolutamente necessario ripensare i rapporti con le altre specie. Proprio come fecero gli Occidentali all’epoca delle scoperte geografiche.
Quando vennero a contatto con popolazioni sconosciute, i cosiddetti selvaggi, che allargarono i confini della nozione stessa di umanità, la resero meno etnocentrica, più inclusiva.
Secondo le correnti più avanzate dell’etologia, oggi per superare quell’antropocentrismo della nostra civiltà che ha reso gli uomini estranei al resto del creato, è necessario fare qualcosa di analogo nei confronti delle specie animali. E affidare agli etologi e altri scienziati una sorta di missione diplomatica presso le altre creature, soprattutto quelle più vicine, come i primati. Per stabilire con loro relazioni di buon vicinato. E diventare mediatori culturali con la natura, interpreti dei nostri fratelli che non hanno il dono della parola. In un mondo sempre più affollato e impoverito, come il nostro, la questione della coabitazione interspecifica diventa cruciale. Se non vogliamo ridurre il pianeta a una landa inaridita e inospitale dobbiamo creare le premesse di una nuova alleanza con i nostri simili e i nostri dissimili. Dove parlare coi lupi non sia un’utopia, ma un modo per far comunicare parenti differenti.

Marino Niola
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