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Un segnale a Salvini e alla politica più arida – la Repubblica

14 Dicembre 2019

Il sardinismo come antidoto contro il salvinismo. Non è solo un gioco di parole ma l’esempio di una tendenza sempre più diffusa nei nuovi movimenti d’opinione che riscoprono la potenza arcaica ed icastica dei simboli primordiali. Icone, forme, colori, specie animali. Se funziona lo vedremo oggi a Roma, visto che il popolo dei pescetti ha scelto di contarsi in piazza San Giovanni, tradizionale scena dei raduni della sinistra. L’idea, come è noto, è venuta a quattro ragazzi bolognesi che hanno voluto smentire il proverbiale adagio secondo cui il pesce grande mangia quello piccolo. Dove il pesce grande sarebbe Matteo Salvini. Insomma, da una parte il quarto stato del mare, umile e pacifico, ma anche modello di ottimizzazione ambientale. Se è vero come diceva il grande scrittore spagnolo Ramón Gómez de la Serna, che non esiste spazio meglio sfruttato di una scatola di sardine. Di contro, l’indigesto capitone che, a dispetto del nome gravemente maschile, è tutto fuorché un tostissimo capitano.

Ma paradossalmente una corpulenta femmina d’anguilla.

In questo rispecchiamento fra società e natura, uomini e animali, persone e simboli c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico.

Perché si tratta di una forma di classificazione vecchia quanto il mondo. Lo testimoniano i bestiari medievali, secondo i quali ciascuno ha la sua bestia, quella che ne riflette in tutto e per tutto vizi e virtù. Ma anche società lontane come gli Indiani d’America e gli aborigeni australiani, che usavano le differenze esistenti fra animali, piante, colori per rappresentare le differenze fra individui, gruppi, famiglie, popolazioni. Falchi contro cornacchie, serpenti contro manguste, aquile contro orsi, rossi contro gialli.

È lo stesso linguaggio della natura che parlano i gilet gialli francesi, che hanno scelto la tinta dell’emergenza, quella che segnala lavori a rischio. Come il canarino acceso dell’impermeabile di Greta Thunberg che è diventato ormai l’alert del villaggio globale. Un post-it attaccato alle nostre anime. E per la stessa ragione le donne, per manifestare contro la violenza di genere, il 25 novembre scorso hanno scelto di indossare il viola, che nella stessa etimologia della parola contiene la violenza.

E per lo stesso motivo molti comuni stanno dipingendo le panchine di un fiammante deep purple. Non è solo mascheramento. È anche la reazione contro una politica sempre più grigia, anemica, scolorita. Ridotta ad aride cifre e a calcolo del Pil. E così in piena società tecnologica riaffiora come un geyser la forza dei simboli primordiali. Che parlano alla ragione, ma ancor prima al cuore e alle emozioni perché sono i classificatori primari dell’umanità. Senza i quali la vita non è vita.

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Marino Niola
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